Vergogna

La caccia | Trasmessa il: 10/09/2011


    Vergogna

    Che pena, amici, che autentica pena lo spettacolo di quei cittadini di Perugia che fischiavano e gridavano “Vergogna!” all'indirizzo dei giudici che avevano appena assolto, in appello, i due imputati dell'uccisione di Meredith Kercher. Sicuri, evidentemente, che tra due possibili esiti processuali l'unico che meriti l'apprezzamento sociale è quello di condanna e che giustizia sia fatta solo quando gli imputati finiscono, se non sul patibolo, che oggi da noi non si può, perlomeno dietro le sbarre per un congruo numero di anni. Più di quei quattro, sicuramente, che si sono fatti gli imputati, a quanto pare innocenti.
    Dico “a quanto pare” perché come siano andate le cose, in realtà, non lo so. Il caso io non l'ho assolutamente seguito. Detesto la cronaca nera e di delitti e di indagini mi interesso solo quando sono rigorosamente di fantasia. L'idea di un omicidio autentico, con relativo processo, mi fa star male e e dalla lettura delle cronache relative (per non dire delle ricostruzioni televisive) sono solito astenermi con grande cura. Ma sarà appunto per questo, e un po' perché sono convinto che sono meglio mille colpevoli in libertà che un innocente in galera, le condanne mi contristano e di fronte alle assoluzioni provo sempre un senso di compiacimento. Chi lo sa, può darsi che, per una volta, il farraginoso apparato del nostro sistema giudiziario l'abbia azzeccata e che un nostro simile ingiustamente accusato sia stato restituito alla libertà. Di Amanda e Raffaele, come tutti, con disinvolta familiarità, chiamano i due ex imputati, come se non avessero un cognome degno di essere menzionato, non so quasi nulla e quel poco che ne so mi fa pensare che non mi sarebbero stati affatto simpatici, ma non è questo il punto. La questione è di principio e credo che mi rallegrerei persino dell'assoluzione, in uno dei suoi molti processi, di Silvio Berlusconi, se solo si facesse processare e non impostasse le sue difese sulla ricerca di espedienti che lo tengano lontano dai giudici e l'elaborazione di leggi fatte apposta per facilitare tale scopo. Sarebbe un sollievo scoprire di avere un presidente del consiglio che non (ripeto: non) è colpevole almeno di concussione e prostituzione minorile, no? Ma il tempo fugge e, tra una dilazione e un conflitto, questa confortante prospettiva si fa sempre meno probabile. Peccato.
    In realtà, la giustizia, intendendo per tale l'ordinamento penale e il funzionamento dei tribunali, è quello che è e pensando all'affollamento delle carceri e alla tipologia di coloro che più vi contribuiscono non verrebbe certo spontaneo tributare al nostro paese particolari elogi in merito. Pure, un bel pezzo di cittadinanza è convinto che il bravo giudice è quello che di buona lena condanna, più o meno come molti credono fermamente che il bravo insegnante sia quello che più degli altri boccia, specie se boccia i figli degli altri. Le ragioni di questo atteggiamento vanno probabilmente rintracciate in un pessimismo culturale profondamente radicato, in cui hanno parte la Controriforma e il dispotismo, secondo quella tradizione delle “tre effe” delle quali il Borbone di Napoli si vantava di servirsi per tenere a bada i suoi sudditi (erano, se non ve lo ricordate, “Feste, Farina e Forca”), ma può darsi benissimo che Berlusconi c'entri un pochino anche lui. Ne ha dette tante, nel corso della sua pluridecennale battaglia contro la magistratura, che qualsiasi spirito appena un po' democratico si sente obbligato a schierarsi al fianco di giudici e pubblici ministeri e a esigere che agli imputati – quell'imputato compreso – non sia lasciata la minima via di scampo e chi se ne frega delle garanzie dello stato di diritto. Così, può capitare, una bella mattina, di sentire a Radio Popolare il pubblico ministero Caselli parlare delle intercettazioni, che ci vogliono anche loro, certo, ma pongono effettivamente qualche problema di privacy e riservatezza, non come di un indispensabile strumento di indagine, da trattare con tutta la cautela necessaria quando ci sono di mezzo i diritti del cittadino, ma come del baluardo della legalità, dell'unico strumento grazie al quale si possono debellare stupratori e assassini, e farsi paladino della più ampia liberalizzazione possibile del loro uso. Una cosa, francamente, da brivido, nonché uno dei migliori spot pro Berlusconi che da tempo mi sia capitato di sentire e faceva una certa impressione che gli venisse dato tanto spazio su una emittente come la nostra.
    Scusate la digressione. Con Amanda e Raffaele, naturalmente, non c'entra affatto. Se li hanno assolti è stato perché, in appello, gli sono capitati dei magistrati capaci di rendersi conto che le prove addotte dall'accusa non reggevano a un secondo esame. In primo grado, però, li avevano condannati senza complimenti, il che significa che, di due collegi giudicanti, almeno uno ha cannato completamente il giudizio. Tutti possono sbagliare, certo, ma quando si hanno certe responsabilità errori del genere non dovrebbero essere ammessi con tanta disinvoltura. E se non hanno torto i familiari della vittima quando dichiarano che, pur rispettando la sentenza la rispettano, trovano strano un capovolgimento del giudizio così radicale in soli due anni, va detto che sembra altrettanto strano, anzi, fa decisamente paura pensare quanto i due siano stati vicini a dover passare in galera una buona metà della loro aspettativa di vita. Per non dire di quel loro coimputato che, avendo scelto una diversa via processuale, adesso si ritrova sul groppone una condanna a sedici anni per complicità con coloro ch sono stati assolti. Sono contraddizioni inevitabili? Può darsi, ma è di queste contraddizioni, forse, e non dell'assoluzione, che ci si dovrebbe vergognare.

    09.10.'11