Vendette irrilevanti

La caccia | Trasmessa il: 10/14/2001



Non so se ve ne siete accorti anche voi, ma i venti di guerra che da domenica hanno ricominciato a soffiare sul mondo, aggiungendo rovine alle rovine e assommando morti sui morti, un risultato, almeno, l’hanno raggiunto.  Hanno cancellato dalla memoria e dell’attenzione di tutti noi il ricordo dell’11 settembre.   Sull’episodio che ha gettato l’intero Occidente nello sgomento, sulle oltre seimila vittime che ancora giacciono sotto le rovine del World Trade Center, è calato il silenzio. Le immagini dei bombardamenti, con la loro spietata consequenzialità, con la loro inesorabile logica, hanno definitivamente soppiantato quelle del dolore e della solidarietà, che, dall’indomani dell’attacco suicida alle Torri, ci giungevano da New York.  Ed è logico, in fondo: siamo in guerra, anche se non si sa bene contro chi, e in guerra non si piange sui morti, né propri, né altrui.
        Su quelle seimila vittime, d’altronde, non si è voluto mai piangere.  Il lutto per la loro scomparsa si è sublimato immediatamente nella pubblica affermazione di una volontà di vendetta.  Gli Stati Uniti, l’Europa, l’Occidente non avevano neanche fatto in tempo a rendersi conto di quanto era successo, che già Bush, appena sceso dall’aereo su cui le procedure di sicurezza lo avevano confinato, garantiva ai suoi cittadini che l’offesa non sarebbe restata impunita.   E da questo registro non si sono più scostati i commenti dei grandi del mondo e dei loro portavoce.   Per un mese, al mondo è stato esibito in diretta il progressivo dispiegarsi della macchina militare,  come se nella sua astratta perfezione ognuno dovesse trovare un paradossale conforto.  Tutti gli americani (nel senso, naturalmente, dei cittadini degli Stati Uniti), tutti gli occidentali dovevano capire che anche se erano stati colpiti in una dei simboli della loro potenza, se era stata violata la loro sicurezza e offesa la loro supremazia, i colpevoli l’avrebbero certamente pagata.  I più forti erano sempre loro e glielo avrebbero fatto vedere.
        È abbastanza umano, naturalmente, cercare sollievo al dolore nella volontà di vendetta.  Ma la guerra, purtroppo, è la guerra: un meccanismo dotato di una sua preoccupante autonomia, della capacità di crescere su di sé e di proporsi da sé i propri obiettivi.  Di fatto, nello spazio di un mese, molto prima che partissero i primi missili, gli obiettivi di quella guerra annunciata erano profondamente cambiati.  Il fine non era più quello di punire i terroristi o di metterli nell’impossibilità di nuocere ulteriormente.  Visto che si doveva combattere, tanto valeva gettare nel mucchio anche gli obiettivi tradizionali della politica statunitense, occuparsi di petrolio e oleodotti, di equilibri regionali e di “sicurezza globale”…  Non è un caso se gli Stati Uniti hanno chiesto l’impegno preventivo della NATO nella forma più solenne prevista dai protocolli di quell’alleanza.  Non è un caso se Bush e Blair e i loro satelliti continuano ad alludere all’eventualità che il conflitto si allarghi, che nuovi obiettivi siano colpiti, che altri paesi e altre popolazioni entrino nel mirino degli alleati.   Qualcuno si  è già spinto a dire che il fine ultimo è quello di un nuovo ordine mondiale.  E che volete che importi, in una prospettiva del genere, se quel poco che resta della città afghane viene raso sistematicamente al suolo?  I problemi in ballo sono ben altri.  La stessa esigenza di vendicare le vittime di New York e di Washington, a questo punto, diventa del tutto irrilevante.  
        È forse per questo che nessuno, a un mese di distanza dalla tragedia, sembra sentire il bisogno di piangerle.  D’altronde, ci ha deciso di imporre il proprio ordine a tutto il pianeta non può essere sensibile al lutto.  Quello del lutto è un momento di crisi, un momento in cui, interrogandosi sulla perdita che ci è stata inflitta ci si chiede perché sia toccata proprio a noi, cosa abbiamo mai fatto per meritarcela.  E queste, ahimè, sono domande che l’Occidente non può permettersi.  Ne conosce benissimo le risposte e non ha la minima intenzioni di farci i conti.  Meglio, tutto sommato, dimenticare.

14.10.’01