Un'ottima occasione

La caccia | Trasmessa il: 12/19/2010


    Come si sono arrabbiati i nostri bravi concittadini di fronte alla decisione delle maestre della scuola materna comunale di via Forze Armate non celebrare, quest'anno, la solita festicciola natalizia di fine anno, nel timore che le poesie e le filastrocche che in queste occasioni di solito si esibiscono mettessero a disagio quei 40 bambini su 175 le cui famiglie, per evidenti origini etniche, presumibilmente non professano la fede cristiana. Una preoccupazione legittima, che, a dire il vero, era già affiorata in qualche altra scuola della penisola, come quell'istituto di Cardano al Campo, in provincia di Varese, dove la dirigenza ha deciso di fare a meno della tradizionale benedizione dell'edificio, o la scuola pubblica “Thouar” di Livorno, dalla quale sono stati banditi, sotto le feste, tutti i canti a carattere confessionale, ma qui a Milano – sembra – ha fatto particolare scalpore. Hanno protestato le mamme (”in maggioranza laiche” e, come hanno esse stesse precisato “per nulla razziste”); molti colleghi giornalisti si sono esibiti in una serie di variazioni sul tema “non togliamo il Natale ai bambini” e su quanto sia iniquo negare alle care creature le stelline, gli angioletti, i pastori, le pecorelle, i Re Magi e gli altri protagonisti della lieta occasione si sono diffusi in parecchi. Alla fine è intervenuta l'assessore all'educazione di Palazzo Marino, Mariolina Moioli, che, contattati i vertici della scuola, ne ha capovolto le decisioni, decidendo (o, forse, imponendo) che la festa si faccia. “Ritengo” ha spiegato “che a prescindere dall'appartenenza religiosa e culturale delle famiglie, chi vive nella comunità abbia diritto di partecipare pienamente alle nostre tradizioni. E la festa di Natale è un'ottima occasione di integrazione per bambini e genitori.”
    Questa dichiarazione, naturalmente, mette bene in luce quale sia l'idea di integrazione che alligna nella classe dirigente della nostra città. Che per essere ammesso a pieno titolo nella comunità sia opportuno o necessario far proprie le tradizioni altrui, e che questo vero e proprio obbligo possa essere considerato un diritto, può pensarlo solo chi ha dei diritti e del rispetto dell'identità altrui (come a dire della libertà di pensiero) un'opinione affatto particolare. Sappiamo, naturalmente, di essere governati ormai da decenni da un mix di leghisti, ex fascisti e ciellini per i quali l'unico pensiero degno di essere libero è il proprio e gli altri facciano il piacere di stare zitti, ma eravamo abituati a sentirli esporre le proprie idee in merito con maggiore cautela. Evidentemente, l'abitudine all'impunità fa crescere la sicurezza di sé e la sicurezza di sé permette a quelli di loro che meno sentono l'impaccio del buon senso di essere sempre più espliciti.
    Tanto più che nessuno si prende la briga di protestare. A denunciare quello che è stato, in sostanza, un diktat autoritario contro una decisione presa democraticamente, sono stati davvero in pochi. Alle carole e alle pecorelle si dichiarano favorevoli, in genere, anche i laici. Così, il responsabile scuola dei democratici lombardi si è detto contento che la festa si faccia, anche se trova che la Moioli farebbe meglio a trovare le risorse necessarie alle scuole per integrare i bambini stranieri. “Quel che ci serve” chiosa tal Ugo Perone, docente di Filosofia delle Religioni all'Università del Piemonte orientale, “è una cultura dell'accoglienza, non la rimozione di aspetti autentici e profondi come il cristianesimo è tuttora in Italia. Non è così che si diventa più tolleranti: serve semmai che nelle scuole tutti conoscano la storia e il significato delle principali ricorrenze religiose di tutte le comunità effettivamente presenti in quella realtà”.
    Questa del “non è così che si fa” è una mossa di sicuro successo tra i fautori della festa di Natale per tutti. L'articolista di “Repubblica” che raccoglie l'opinione del prof. Perone ne fa il suo argomento principe. Auspica, come punto di arrivo del dibattito, un calendario multireligioso come quello in uso in alcune grandi scuole pubbliche americane. Intervista dei musulmani che sul Natale a scuola non hanno nulla da eccepire, salvo aggiungere “se poi i bambini di origine cristiana imparassero che cosa è il Ramadan tanto meglio.” Anche Miriam Mafai, che, sotto il titolo “Una festa non ha mai fatto male a nessuno”, occupa tutto il relativo fondo pagina, spende parecchie parole per spiegare che “non si impara fin da bambini a stare insieme cancellando il Natale e le rispettive identità”: bisogna, al contrario, che i bambini imparino “che ci sono altre religioni, altre feste, altre abitudini, altri cibi, altre lingue.”
    Tutto vero, per carità, tanto vero da essere quasi ovvio. Solo che nessuno tra i propalatori di queste ovvietà si chiede come le si possano realizzare celebrando una sola ricorrenza e imponendo una sola tradizione. Sarebbe bello, certo, festeggiare insieme non solo in Natale, ma la fine del Ramadan, l'Hanukkà, la nascita e l'illuminazione del Buddha e quant'altro, ma, naturalmente, non lo si fa. Anzi, provatevi a farlo e vedrete cosa vi succederà, qui, nella città delle Moioli e dei De Corato. Ai piccoli ospiti del nostro paese (e ai loro genitori), di fatto, si propone l'adesione forzata alla nostra cultura, alle nostre credenze e alle nostre tradizioni. E, per buona misura, gli si spiega che accettare questa imposizione è un loro diritto.
    Insomma, più che un'ottima occasione di integrazione, la festa di Natale sembra diventata un'ottima occasione per far capire a tutti chi comanda. Non si offendano quelle mamme, quei papà e quegli insegnanti che vi partecipano in buona fede, ma non è esattamente la stessa cosa.
19.12.'10