Mi ci vorrà del tempo, se gli dei me ne concederanno,
perché riesca a trovare bella la nuova uniforme invernale dei vigili della
nostra città. Sarà più moderna, eh, non discuto, e più comoda, figuriamoci,
con l’elmetto di plastica in formato ridotto e quel giaccone di nailon
blu a prova di intemperie, e più marziale, certo, con la fondina della
pistola in bella vista che neanche a Los Angeles, ma, finora, non sono
proprio riuscito ad abituarmici. Le vecchie divise erano di un taglio
ottocentesco un po’ superato e avranno anche avuto, con tutto quel nero
e quell’oro, un che da impiegato di pompe funebri, ma non si può negare
che fossero assai più eleganti, specie nella versione con il cappottone
abbottonato. Ed “eleganti”, in questo contesto, significa soprattutto
“civili”, nel senso che il nuovo modello dà a chi lo porta un’aria un
po’ da gradasso, un look violento e volgare da poliziotto di telefilm,
che poco si confà alla immagine tradizionalmente pacifica dei nostri vigili
urbani.
Ma tanto non sono
più, questi insonni guardiani della pace metropolitana, né vigili né urbani.
Non sono più neanche, com’erano da qualche anno, agenti della polizia
municipale, che, se non altro, era una definizione precisa. Sono
diventati, come ben si evince dalle visibilissime scritte che portano sul
petto e sul groppone (oltre che sulle fiancate delle automobili e sulle
sacche laterali delle biciclette), agenti di polizia locale. E anche
in questo caso, lascio a voi giudicare se fosse proprio necessario modificare
una denominazione tradizionale ormai entrata nell’uso a favore di un termine
generico che significa così poco. I vigili urbani erano, appunto,
“urbani”, come a dire che agivano esclusivamente in città, con tutto
ciò che ne consegue (o ne dovrebbe conseguire) in termini di urbanità e
cortesia; i poliziotti municipali dipendevano, evidentemente, dal municipio,
ma quale esattamente sia l’ambito degli agenti di polizia locale non è
dato, senza ulteriori informazioni, sapere. Tanto è vero che la
dizione non è esclusiva: guardatevi un po’ in giro, osservate le auto
dall’aria ufficiale che girano, specie quelle con la sirena e le luci
intermittenti blu, e scoprirete che quel termine unifica agli ex vigili
milanesi e a quelli di tutte le altre municipalità lombarde, i membri di
una misteriosa “polizia provinciale” (che sospetto fortemente non siano
altro che gli ex guardacaccia e guardapesca, promossi, almeno di nome,
a più alte funzioni) e quelli di un corpo di guardie dipendente dalla Regione
le cui incombenze, confesso, mi sono del tutto ignote.
La cosa più strana
è che una polizia locale, per quel che mi risulta, in Italia non esiste.
Mentre in quasi tutti i paesi del nostro occidente le funzioni di
polizia, comprese quelle criminali, sono affidate a corpi del genere (Scotland
Yard e le polizie di contea in Gran Bretagna, la Sûreté parigina, i Police
Departments delle città americane e così via), lasciando alle strutture
centrali tipo FBI e alle gendarmerie militari solo pochi compiti ben specificati,
qui da noi, come tutti sanno, esiste una polizia civile di stato, a mezzadria
con il corpo militare dei carabinieri, il che fa sì che le varie organizzazioni
locali abbiano limitatissime funzioni amministrative. I legislatori
avranno pensato, suppongo, che affidare la lotta alla criminalità a delle
strutture regionali, provinciali o comunali avrebbe potuto creare qualche
problema in quelle parti del nostro povero paese in cui, diciamo così,
tra poteri locali e crimine organizzato c’è una certa qual confusione.
È un’opzione tra altre possibili, naturalmente. Se ne
può discutere e, infatti, se ne discute, tanto è vero che quella del trasferimento
alle Regioni di competenze di polizia locale (e di quali) è una delle istanze
di quella devolution che sappiamo tanto cara alla Lega e ai vari Formigoni,
come a dire la riforma “federale” della Costituzione che il governo ha
in programma e si va discutendo, attualmente, alle Camere. E quale
che sia il giudizio che se ne può dare (io, per esempio, non ne penso un
gran bene), quella riforma per ora non è stata approvata e quindi non dovrebbe
avere effetti sull’organizzazione concreta delle forze dell’ordine.
E invece, guardate un po’, mentre la discussione parlamentare
è ben lungi dal concludersi e i partiti di maggioranza si accapigliano
in merito (l’opposizione, come è suo uso, tace e spera), la polizia locale
va avanti. Non a termini di legge, magari, ma a termini di scritte
sulle giacche a vento, sulle fiancate delle automobili e sulle biciclette,
di divise indistinguibili, di carrozzerie bianche e verdi per tutti, di
uniformità esteriore e vestimentaria dei membri dei vari corpi che
dipendono dagli enti locali. Nella sostanza, credo, non cambia niente:
gli ex ghisa continuano a occuparsi soprattutto di traffico e annona, gli
ex guardacaccia e guardapesca a vigilare su riserve di caccia e bacini
di acqua dolce, le ex guardie regionali a fare quel cavolo che facevano
prima, ma se a queste varie attività attende del personale uniformemente
vestito e denominato, be’, ammetterete che è tutta un’altra cosa. Non
so a chi sia venuta l’idea, ma chiunque sia deve essere un genio. Se
una riforma tarda a venire, o è difficile da realizzare, o prevede – semplicemente
– dei tempi un po’ lunghi, basta far finta che sia già stata approvata
ed entrata in vigore. La gente si abituerà e il più, a questo punto,
è bello che fatto. Quando la Lega e i suoi compari otterranno l’agognata
devolution nessuno avrà motivo di battere ciglio. La polizia locale?
Ma, scusate, non c’era da anni?
Sembra una sciocchezza, un caso irrilevante di ordinaria
burocrazia e invece è un altro capitolo di quel colpo di stato strisciante
che da quando certa gente è al potere ci tocca subire giorno per giorno.
12.12.’04