Una scommessa persa da Napoleone

La caccia | Trasmessa il: 02/19/2006




Sembra che a Napoleone – quello autentico, dico, quello che, pur essendo un filino più basso del Presidente del Consiglio in carica, è riuscito comunque a pubblicare un paio di codici in più – non piacesse il pollo.  Lo considerava un cibo monotono.   Fu per questo che il marchese di Cussy, dotto buongustaio dell’epoca, scommise con lui che glielo avrebbe servito due volte al giorno per un anno, variando costantemente il sapore della pietanza e, anche se le cronache non sono precisissime in merito, pare che ci sia riuscito.  Commenta Alberto Denti di Pirajno, dalla cui opera fondamentale, Il gastronomo educato (1950), attingo la notizia, che quello del Bonaparte “folgorante attraverso l’Europa, inseguito dal marchese di Cussy che rimescolava nelle pentole, girava spiedi o faceva saltare padelle sui fornelli deve essere stato uno dei più interessanti spettacoli della prima metà del secolo decimonono.”

       Di tutta questa attività, che io sappia, ci è restata solo la ricetta del pollo alla Marengo.  Ma l’immagine mi si è affacciata alla mente quando mi è capitato di assistere, sere fa, a una delle trasmissioni televisive in cui, in nome della difesa del patrimonio zootecnico nazionale e dei posti di lavoro correlati, si è fatto il disperato tentativo di convincere gli italiani di come, virus dell’aviaria o no, il pollo rappresenti un alimento sicuro, che soltanto uno stolto allontanerebbe, oggi, dalla propria tavola.   Il conduttore, per la circostanza, non aveva badato a spese e aveva convocato in studio, oltre al ministro competente, a un certo numero di esperti e ai responsabili delle organizzazioni del settore – tutta gente, ministro a parte, di sicura competenza – anche un paio di cuochi, completi di berrettone bianco e dell’intero armamentario di cucina, e ogni tanto, dopo aver introdotto un eminente veterinario che assicurava che le possibilità che quel virus potesse passare dal volatile a chi se ne ciba erano infinitesimali, o aver avuto dal presidente della Federpolli la garanzia che le misure adottate per eliminare il contagio sarebbero state approvate da don Ferrante in persona, gli chiedeva:  “E voi, che cosa avete preparato di bello?”  “Pollo al madera, illustrissimo” gli rispondevano i due maitre all’unisono, mentre la telecamera zoomava sulle loro creazioni, e poi pollo al curry, involtini di pollo, pollo ripieno, pollo in salsa, eccetera eccetera.  “Hmm, che profumino!” commentava estasiato il tipo, inalando vistosamente a froge aperte, e poi ripassava la parola al ministro.

       Non so quanti spettatori siano stati convinti dall’esibizione a rimettere in tavola il pollo.  Le dichiarazioni degli esperti erano ragionevoli – anche se un po’ troppo ottimistiche per uno spirito sospettoso, – il ministro perorava la causa con insolita sobrietà e i pezzi grossi erano unanimi e, per una volta tanto, concordi nel lodare se stessi e il proprio operato, ma ci vuol altro, naturalmente, per calmare le apprensioni di tutto un paese.  Il pubblico che da mesi sente i media discettare di epidemie e pandemie, sa che il contagio, nonostante tutte le precauzioni, dall’Estremo Oriente è riuscito ad arrivare in Puglia e Sicilia, non ignora che in itinere il virus ha fatto, comunque, un certo numero di vittime umane – magari poche, sul piano statistico, ma contro la paura la statistica non ha corso –  e ha capito benissimo, perché qui nessuno è scemo, che, allo stato delle conoscenze, di garanzie atte ad escludere qualche sua micidiale mutazione non ne può dare nessuno.   E poi, insomma, quella di lavarsi frequentemente le mani è un’ottima abitudine, a prescindere dalle emergenze sanitarie, ma se uno si sente raccomandare di ricorrere all’acqua e sapone ogni volta che gli capita di toccare un uovo, be’, è normale che verso le uova cominci a covare un minimo di diffidenza.  In questa situazione, naturalmente, tutto fa brodo e il ricorso alle tecniche del marchese di Cussy per spiegare che l’alimento contestato è, per sua natura, estremamente versatile e ha, come se non bastasse, un ottimo profumo può certo servire a qualcosa, ma non lo si direbbe un argomento di grandissimo potere suasorio.  Il pollo, nell’uso alimentare corrente, non è la base di preparazioni raffinate, ma un vecchio amico nel trantran quotidiano della cucina, e quando ci si sente traditi dai vecchi amici la reazione di ripulsa è sempre radicale.

Io, personalmente, non ho difficoltà a confessare che, per quanto abbastanza ghiotto di pollo, non ne tocco uno da mesi.  E non perché disponga di particolari elementi che mi confermino la pericolosità del consumo: so benissimo che potrebbe trattarsi dell’ennesima bufala della stampa, o semplicemente di un caso di cattiva informazione.  Ma in questo mondo, ormai, se un fatto è di natura puramente mediatica resta comunque un fatto e non ce se ne può sbarazzare addebitandone le conseguenze all’ingenuità di un pubblico che non ha capito bene il messaggio o se ne è lasciato impressionare.   Se la notizia è stata data in modo scorretto, bisognava pensarci prima: adesso, una volta scattato il corto circuito allarmismo-paura, c’è ben poco da fare e solo il tempo, quel grande epidemiologo, potrà riportare i gallinacei sulle mense delle grandi masse.  Quella di riuscire a invertire il processo spiegando alla gente che non ha capito un  tubo e di non fare, per piacere, tante storie è un’altra scommessa che nemmeno il vero Napoleone, per non dire delle sue imitazioni più alte di oggi, avrebbe potuto vincere.


19.02.’06