Non so se sia vero, come assicurano
quei manifesti che infestano da qualche giorno le mura cittadine, che una
volta erano in pochi a chiamare Patria l’Italia e adesso sono la maggioranza.
Ho, anzi, il sospetto che entrambe le affermazioni siano, per un
verso o per l’altro, inesatte, nel senso che il patriottismo ha sempre
goduto, nel nostro paese, di un ruolo ideologico privilegiato (avreste
dovuto sentire le inventive contro gli austriaci cui si abbandonava la
mia maestra delle elementari) e quanto a chi è in maggioranza, be’, è
ancora tutto da decidere. Ma questo non mi impedisce di trovare quella
doppia proposizione straordinariamente irritante. Più irritante,
forse, delle dichiarazioni di Berlusconi sull’occupazione degli spazi
televisivi da parte della sinistra e della richiesta di “ospitalità”
nelle file uliviste dei radicali, che, pure, come manifestazioni di improntitudine,
sono tali da far girare le scatole alla persona più mite. Dover leggere
quelle parole, accompagnate, per di più, dalla faccia melensa dell’onorevole
Fini, mi sembra davvero al di là della capacità media di sopportazione.
Vedete, io non ho niente contro la patria,
in sé. È vero che appartengo al novero di quanti considerano tale
il mondo intero, come dice una vecchia canzone, che, con tutta la stima
dovuta al presidente Ciampi, ho sempre trovato più emozionante dell’inno
di Mameli, ma non mi spingerei certo a sottoscrivere la celebre massima
del dottor Johnson che vedeva nel patriottismo l’ultima risorsa dei furfanti.
So che la gente ha un bisogno incoercibile di identificarsi in qualche
modo, e l’amore per il paese in cui si è nati, le sue tradizioni, il suo
modo di vivere è un criterio di autoidentificazione affatto rispettabile.
È un criterio, oltretutto, che di solito riesce a convivere perfettamente
con quelli che definiscono un altro genere di appartenenza, per classe,
per genere, per generazione, per opzione ideologica o per qualsiasi elemento
in base al quale si decida, di volta in volta, di raggrupparsi.
L’onorevole Fini e i suoi soci, naturalmente,
non sono d’accordo. Loro organizzano i valori – come tutto il resto
– per gerarchie e affermano, almeno a pariole, che quello di patria prevale
sugli altri, per cui, in nome di quella appartenenza, tutti dovremmo essere
tenuti a una solidarietà che comprende anche loro. È una bella pretesa,
soprattutto perché per solidarietà intende – sotto sotto – una qualche
forma di sottomissione, ma è da secoli che la si avanza e oggi ne siamo
abbastanza vaccinati. Le destre fanno il loro mestiere e a sventolare
la bandiera ci provano sempre, ma i loro capi sanno, nonostante tutto,
che per attirare il consenso oggi serve ben altro e, di fatto, al governo
ci sono arrivati promettendo la riduzione delle tasse e maggiore ricchezza
per tutti, che non sono delle argomentazioni particolarmente patriottiche.
Eppure la patria, in quelle mani, non è soltanto
il residuo di una tradizione ideologica in corso di esaurimento. È
un concetto cui non intendono rinunciare, soprattutto perché offre delle
interessanti possibilità di uso, come dire, asimmetrico. Perché
tutti, a questo mondo, hanno una patria, compresi gli anarchici irriducibili,
ma per gente come Fini la sola patria che conta è quella che loro definiscono
tale. In suo nome, di fatto, chiedono solidarietà, disciplina, sacrifici
e rispetto, ma non sono certo disposti a concedere nulla di simile a chi
ha qualcosa da eccepire in nome di un’altra patria. Lo si è visto
bene, per limitarsi ai più banali degli esempi, in Iraq, dove a chi si
oppone all’occupazione militare non si concede neanche la dignità di far
parte di una resistenza o di una guerriglia, visto che altro non sono,
notoriamente, che terroristi, o in tutto il discorso sulle foibe e sulle
vessazioni subite dagli italiani in Istria e Dalmazia, condotto con assoluta
impudicizia a prescindere da qualsiasi accenno alle ragioni che pure, all’epoca,
potevano accampare croati e sloveni. Lo si vede, d’altronde, in
tutta la ricostruzione “da destra” della storia recente, in cui la faziosità,
nonostante le affermazioni in contrario, resta l’elemento determinante.
Certo, quando si tratta di allearsi con Bossi
per ragioni di potere, o di prosternarsi di fronte a Bush, del patriottismo
costoro riescono a fare benissimo a meno ed è per questo, probabilmente,
che le loro dichiarazioni in merito sono così fastidiose. Ma sappiamo
tutti che non c’è impegno di coerenza che possa impedire a nessuno di
giocare, al tavolo dell’ideologia, le carte che ha. Il vero guaio
è che certe carte, come in questo caso, sono clamorosamente truccate.
13.02.’05