Una giornata difficile

La caccia | Trasmessa il: 03/20/2011


    Vi assicuro che ho cercato di impormi un atteggiamento maturo e responsabile. Ne ho parlato, lo ricorderete, sine ira et studio. Mi sono detto e ripetuto che se qualcuno ci teneva tanto a festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale, avrà avuto i suoi buoni motivi e chi ero io per fare il bastiancontrario. Ho ammesso con diligenza che i tempi sono cambiati, che la patria non è più una esclusiva del nazionalismo becero, che l'identità condivisa e il senso di appartenenza sono comunque valori e che, in ogni caso, valeva pur sempre la pena di mostrare la propria opposizione alla Lega, anche se l'idea di sventolare il tricolore insieme a La Russa per fare un dispetto a Bossi, che con La Russa sta nello stesso governo, era, a ben vedere, incredibilmente cretina. Mi sono adattato, così, agli sventolii e agli sbandieramenti, ai giornali con la testata tricolore, alla rivalutazione dell'elmo di Scipio e della Vittoria schiava di Roma, al Marzo 1821 in prima pagina sul “Corriere”, agli inni risorgimentali a Radio Popolare, ai monumenti illuminati di bianco rosso e verde, che più kitsch di così non si può e all'omaggio delle aitorità alla tomba di Vittorio Emanuele II padre della patria, in presenza, ahimè, di Emanuele Filiberto, che è vero che è il primo in famiglia a fare un mestiere, tutto sommato, rispettabile, ma è anche una testimonianza vivente della pochezza storica della dinastia. Ma quello che proprio non sono riuscito a sopportare, quello che mi ha – in un certo senso – rovinato la festa, è stato il messaggio presidenziale della vigilia, quello in cui l'ottimo Napolitano, forse per prepararsi alle fatiche del giorno dopo, ha spiegato che se noi italiani non ci fossimo uniti saremmo stati spazzati via dalla storia. Sì, ha detto proprio così, “spazzati via dalla storia”, sottintendendo abbastanza esplicitamente che, anche se si riferiva ai casi del Risorgimento, il concetto vale anche oggi e se non continuassimo a essere uniti via la storia ci spazzerebbe.
    Ora, è vero che in occasione dei centenari una certa dose di retorica è ammessa, ma cosa è saltato in mente a quel brav'uomo? La proposizione, con tutto il dovuto rispetto, suona un po' come un ricatto, un ricatto cui non si può che rispondere ribadendo il diritto di unirsi con chi si vuole e separarsi da chi si desidera e se, nella sua prospettiva, pari diritto rivendica anche uno come Bossi, be', siamo in democrazia e non glielo si può certo impedire. E quanto alla Storia, la “guerra illustre contro il Tempo”, come ebbe a definirla un celebre Anonimo, sarà bene ricordare che di norma essa non spazza via proprio nessuno (a questo provvede, se mai, la natura), ma conserva, anzi, il ricordo di tutti e dei loro fatti e misfatti, aggiungendovi di suo la proposta di un giudizio da condividere. Il che significa che non si può ignorare che una cosa è l'Italia e una cosa è lo stato italiano unito e che l'una, ben prima del 1861, ha accumulato assai più meriti, sul piano culturale e civile, dell'altro. Così che a me, per esempio, non spiace più di tanto di essere italiano e appartenere a un paese di antica e nobile civiltà, ma dell'onore di essere cittadino della presente repubblica potrei benissimo fare a meno, sia perché alla compagnia di certa gente rinuncerei volentieri, sia perché non ho ancora rinunciato all'aspirazione di essere cittadino, come si dice, del mondo. E concluderò confidandovi che sì, giovedì è stata una giornata difficile, ma mi ha consolato e confortato il pensiero che, avendo già vissuto il centesimo e il centocinquantesimo anniversario, l'età mi precludeva qualsiasi prospettiva di vedere anche il prossimo duecentesimo. Ai posteri (ai superstiti), i miei auguri più cari.
20.03.'11

    Nota

    Il brano citato da Goldfinger si trova a pagina 142-143 della prima edizione italiana (“Gialli Garzanti” n. 15, Milano 1964).