Un virus moralista

La caccia | Trasmessa il: 02/12/2006




Il Kamasutra, checché se ne dica, non è un trattato di erotismo.  Composto verso il quarto secolo a.C. dal dotto bramino Mallanaga Vatsyanana, è piuttosto un manuale a uso delle famiglie di quella che un tempo, alle scuole medie, si  soleva definire “economia domestica”.   Si prefigge lo scopo di insegnare agli sposi come raggiungere una piena felicità coniugale e insiste particolarmente, a tal fine, sulla necessità di inserire il kama, l’attività amorosa propriamente detta, in una specie di triade ideale (trivarga) in cui devono trovar posto anche il dharma, l’insieme dei doveri religiosi e morali, e gli artha, gli interessi materiali della vita pratica.  Di consigli, anche particolareggiati, sul come la coppia debba comportarsi a letto non me mancano certo, ma, data l’impostazione generale, si capisce bene come quanti hanno affrontato la lettura di quel testo, nell’originale sanscrito o in una buona tradizione scientifica, finiscano, in ultima istanza, per trovarlo mortalmente noioso.  Tuttavia, quel tanto di pruriginoso che l’argomento comporta ha fatto sì che nel nostro Occidente, che pure negli Enfer delle sue biblioteche cela non pochi volumi e volumetti del genere, dall’Ars Amandi di Orazio ai sonetti di Giorgio Baffo patrizio veneto, ci sia chi, della immensa eredità letteraria dell’India, sa soltanto che vi è compreso quel libro.  Ed era fatale, ovviamente, che il suo titolo diventasse un termine di uso comune, per indicare quelle forme di erotismo più o meno estremo cui la maggior parte dei comuni mortali indulge soltanto con l’immaginazione.

       Era altrettanto fatale, forse, che si definisse “virus kamasutra” la minaccia informatica di cui abbiamo letto nei giorni scorsi, quella che si diffonde mediante certe ingannevoli e-mail il cui allegato promette ai destinatari più ingenui ogni sorta di soddisfazioni in quel campo.  Come sempre, basta aprirlo, e – zac! – il danno è bello che fatto: il virus si auto-invia a tutti gli indirizzi in memoria e il giorno 3 di ogni mese fa scempio di dischi fissi.  Con il che,  spero che non vi sia sfuggito, un concetto nato in un ambito culturale lontano dal nostro come quello dell’India proto-classica, viene opportunamente cristianizzato, perché è nella nostra religione di riferimento, di norma, che il sesso non si considera né un piacere né un dovere da esercitare per ottenere la felicità, ma un peccato che si sconta mediante orribili punizioni.  Il buon Mallanaga Vatsyanana sarebbe stato tremendamente perplesso di fronte a questa interpretazione della sua opera, ma sono questi contrasti, ben più che le futili controversie sugli oli combustibili e le vignette blasfeme, a definire gli scontri di civiltà.


Per cadere in trappole di questo genere, osservavamo prima, bisogna essere dei navigatori informatici piuttosto ingenui.  Ma nessun uomo è un’isola e le conseguenze di quella ingenuità possono riverberarsi nelle sedi più disparate.  Così, spero che abbiate apprezzato quanto me il fatto che il virus abbia “infettato”, per restare in metafora, il sistema informatico di un ente serio (anzi, serioso) come il Comune di Milano.  È una prova, questa, del fatto che le istituzioni, anche quelle che più si vantano della propria efficienza, dipendono pur sempre dall’attività di uomini fallibili.  Fallibilissimi, anzi, visto che una settimana dopo la crisi Kamasutra si sono fatti infinocchiare da una ulteriore minaccia, il virus “Spybot”, che non ho ben capito come si annunci, ma ha sui sistemi informatici degli effetti altrettanto distruttivi.   E sarà forse una forma di ingenuo moralismo antitecnologico, ma la constatazione, non saprei neanche dirvi perché, mi sembra stranamente confortante.

       Non capisco, piuttosto, perché tutti abbiano dato per scontato, nel riferire dei fatti, che la minaccia in questione, quale che sia  la sua provenienza, sia stata importata da un impiegato qualsiasi, probabilmente di grado inferiore, che adesso le autorità sono impegnate a individuare e adeguatamente punire.  Non sono solo i travet ministeriali e municipali a ricevere in ufficio delle e-mail con allegati sospetti o a navigare in internet per siti pericolosi.  Nulla vieta che a tali attività si dedichino i funzionari, i caposezione, i dirigenti e, a Dio piacendo, gli stessi assessori.  A parte il sindaco, che è ovviamente esente da ogni sospetto (anche perché in ufficio, ormai, di tempo non ne passa molto), non c’è anima a Palazzo Marino e nelle sedi periferiche che possa credibilmente chiamarsi fuori.  La carne è debole, ma la sua debolezza non è inversamente proporzionale alla posizione gerarchica.  E quanto alla stupidità necessaria per arrischiarsi ad aprire un allegato che promette fucking picks (qualsiasi cosa possano essere) e altre delizie del genere, be’, è più probabile che si annidi verso l’alto che verso ilo basso.  Almeno a giudicare da come siamo normalmente governati.


12.02.’06