Non si direbbe, almeno a giudicare dai
messaggi preelettorali che cominciano a fiorire sui muri, che le principali
forze politiche nutrano un grandissimo ottimismo sulle condizioni presenti
del paese. Fiduciose, ciascuna a suo modo, per il domani, sembrano
tutte un po’ scettiche sull’oggi. C’è, per esempio, un manifesto
dei DS, non so se l’avete notato, in cui si annuncia “Oggi devolution
domani Italia”, perche “domani è un Altro giorno”, in cui, a parte l’intollerabile
solecismo ortografico dell’aggettivo scritto con la maiuscola e
il tono vagamente napoleonico prefettizio, non adattissimo a un partito
che dovrebbe porsi come erede dell’autonomismo della sinistra, colpisce
la leggerezza con cui si ricorre a una citazione in sé punto tranquillizzante,
visto che, come ricorderete, quando la povera Rossella O’Hara pronuncia
quella battuta, nella scena finale di Via col vento, si trova in
un mare di guai e nessuno può dire come finirà, ma le probabilità che Rhett
Butler ritorni al focolare domestico sono, comunque, pochine. E
ce n’è un altro, di AN, in cui l’immagine di un assurdo bambinello truccato
da Babbo Natale augura un “Buon futuro Italia” che fa capire abbastanza
bene come, per ciò che riguarda il presente, il paese sia in braghe di
tela anche dal punto di vista di chi ha contribuito a mettercelo. Per
non dire del vero capolavoro della serie, quello in cui, su uno sfondo
a bande orizzontali blu bianche e nere che ricorda un po’ la bandiera
dell’Estonia, si grida un clamoroso “Italia, forza” che probabilmente
vuol essere, nelle intenzioni, soltanto un chiasmo implicito con il nome
di Forza Italia, come conferma la strana chiosa “Niente paura, hai capito
bene”, ma nel concreto, provate anche voi a ripetere le due parole in
quell’ordine, suona piuttosto come un rimprovero venato di impazienza,
come se del paese cui raccomanda di darsi una mossa il partito che firma
l’affiche si sia, come dire, un poco stancato.
Povera Italia,
dunque, sempre bisognosa, per la destra come per la sinistra, di una qualche
rigenerazione futura e vista, di conseguenza, come incapace di esprimere,
così com’è, un valore positivo qualsiasi. E poveri noi, naturalmente,
cui la politica non sa promettere altro che un’Italia diversa, senza perdere
tempo a specificare in concreto i termini dell’auspicata diversità. Perché
è dai tempi del Petrarca, grande poeta, ma pessimo politico, che si è convinti
che non valga la pena ( ”sia indarno”…) indagare sulle piaghe mortali
che nel bel corpo suo sì spesse si veggiono, ma si finisce sempre lo stesso
per ripararsi sotto l’ombrello del suo nome. Un nome, evidentemente,
che si considera buono per tutti i pretendenti e per tutte le stagioni.
Sono passati definitivamente i tempi in cui su questo tipo di problemi,
ci si poteva dividere, allegando, invece di quella nazionale, altre appartenenze
e altre fedeltà. Oggi siamo tornati a essere tutti italiani e tutti
ammantati in quel tricolore che, infatti, figura praticamente in tutti
i simboli che troveremo – troverete – sulla scheda elettorale, e che
nemmeno i leghisti, ormai, avrebbero il coraggio di adibire all’uso improprio
che auspicavano appena pochi anni fa.
Che questa identità, poi, sia solo una
copertura, che sotto quel nome si ripresentino puntualmente i più vari
interessi contrapposti e particolari, è cosa che molti sospettano ancora,
ma nessuno dice più. Tanto, l’Italia cui ciascuno si riferisce è
sempre quella da fare, non quella che c’è, e il futuro – notoriamente
– è sulle ginocchia degli dei. E speriamo che almeno loro si degnino
di proteggerci.