Che sollievo, amici, che straordinario
senso di sollievo ho provato leggendo, sulla “Repubblica” di venerdì
scorso, l’elenco dei dieci libri più pericolosi del mondo pubblicato da
“Human Events”, un settimanale americano che fino ad allora non avevo
il bene di conoscere, ma che ho scoperto esprimere da ben sessantun anni
il punto di vista dell’estrema destra conservatrice di quel paese,
quella che comincia dove si fermano i neocon e finisce un millimetro prima
del fascismo dichiarato. Se la prima regola di chi vuole sopravvivere
sull’infido terreno dell’ideologia è quella di conoscere le debolezze
e i punti di forza dell’avversario, quel documento è lì a garantirci che
di quel tipo di cultura, nonostante i molti poteri forti che le stanno
alle spalle, non è il caso di avere paura.
La testata, in sé, non sembra completamente
ignobile, dicono anzi che goda di una certa autorevolezza presso i ceti
dirigenti della più grande democrazia del pianeta, anche se è destinata,
vista la posizione di nicchia che occupa nel mercato dell’ideologia, a
non suscitare particolare attenzione a livello internazionale. La
grande stampa, di fatto, ne ha parlato solo perché la redazione ha avuto
l’idea di compilare, consultando un certo numero di accademici, polemisti
e uomini di cultura o presunti tali, quel documento curioso. Che
non rappresenta esattamente un elenco di volumi da destinare al rogo, come
ha intitolato qualcuno, perché certe cose, dopotutto, le facciamo solo
in Europa, ma enumera comunque dei titoli che, stando ai criteri dei compilatori,
a nessuna persona dabbene dovrebbe essere concesso accostare. Roba
che ha già fatto abbastanza danno perché si possa permettere che eserciti
ulteriori influenze sulle menti più impressionabili.
L’elenco
non riserva sorprese. Salva l’inclusione d’obbligo del Mein Kampf
al secondo posto e quella di un testo tradizionalmente “ambiguo” come
l’Al di là del bene e del male di Nietzsche al nono, consiste esclusivamente
di classici del pensiero democratico e di sinistra. Si apre con il
Manifesto di Marx ed Engels e comprende, nell’ordine, il Libretto rosso
di Mao, il rapporto sul Comportamento sessuale nel maschio umano di Alfred
Kinsey, Democrazia ed educazione di John Dewey, Il capitale, naturalmente,
la Mistica della femminilità di Betty Friedan e la Teoria generale dell’occupazione
di John Maynard Keynes. Un tocco erudito è rappresentato dall’inserimento
all’ottavo posto del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte. Darwin
e Freud, stranamente, non entrano nella rosa finale, ma contano anch’essi
un numero rispettabile di segnalazioni. Al loro livello si colloca
anche l’unico autore italiano citato, l’Antonio Gramsci delle Lettere
dal carcere. Un mix ben bilanciato, insomma, che rispecchia fedelmente
quelle che già sappiamo essere le ossessioni del conservatorismo americano:
il comunismo (del cui asserito crollo laggiù non devono essere sicuri come
da noi) e la liberazione sessuale, l’emancipazione della donna e gli interventi
governativi sull’economia, la libertà di ricerca e di insegnamento e il
declino dei valori religiosi. Sì, anche dal nazismo si prendono
le distanze, ma si capisce, dalla semplice sproporzione numerica dei titoli,
che non lo si fa davvero col cuore.
Perché,
dunque, il senso di sollievo di cui vi dicevo all’inizio? Be’,
mi sembra ovvio. Il fatto stesso che quei dieci titoli siano considerati
“pericolosi” dimostra che i compilatori della lista non capiscono molto
della dinamica delle ideologie. E non, come si potrebbe pensare,
perché mettono sullo stesso piano Il capitale e il rapporto Kinsey, confondendo
il testo base dell’analisi dei rapporti di classe con un tipico esempio
di divulgazione sociologica popolare. Il fatto è che quei libri,
tutti quei libri, in sé non minacciano assolutamente nessuno. Non
sono stati scritti per quello e nessuno li ha mai usati a tale scopo. Si
può benissimo aver paura del comunismo (come Berlusconi) o della libertà
di gestire il proprio corpo (come Rutelli), ma solo gli ingenui crederanno
che la rivoluzione proletaria sia stata inventata e promossa da Marx e
la permissività sessuale voluta, per chissà quali suoi loschi motivi, dal
dottor Kinsey. Nietzsche era un pensatore piuttosto radicale (o almeno
si considerava tale), ma sarebbe troppo onore per lui addebitargli in toto
la diffusione dell’ateismo. Le trasformazioni dei valori, si sa,
hanno una genesi complicata, nel senso che nascono dalle esigenze della
vita quotidiana degli uomini e delle donne: i trattati e le analisi vengono
sempre dopo ed è per questo, in definitiva, che vietare un libro o farlo
bruciare non è mai servito a impedire una rivoluzione.
Sì,
direte, ma i libri, se non sono esattamente alla origine delle idee, comunque
le generalizzano e le diffondono, per cui è preciso dovere di tutti noi
lottare contro ogni tentazione censoria, comprese quelle che si esprimono,
e non da oggi, nella creazione di elenchi di questo tipo. Il che
è verissimo, ma molto dipende anche da di quali libri si parla. Quanto
a capacità di influenzare a fondo le masse e di spingerle, armate di picche
e forconi, all’assalto delle varie Bastiglie che si parano sul loro cammino
(tabù sessuali compresi) Il capitale, con tutta la sua importanza, è stato
forse meno significativo di tanti altri testi. È un’opera troppo
massiccia e scritta in modo troppo difficile per godere di una vera diffusione
di massa. Lo stesso Marx, che aveva capito il valore rivoluzionario
dell’opera di un autore personalmente reazionario come Balzac, sarebbe
stato il primo a convenire sul fatto che, a prescindere da quel che ne
pensano gli accademici di destra e di sinistra, le idee non viaggiano nei
trattati, ma su pagine che, a prima vista, sembrano occuparsi di tutt’altro.
Il giorno che troverò nell’elenco dei dieci libri più pericolosi
del mondo il Don Chisciotte e Madame Bovary comincerò ad avere paura
di chi lo ha stilato. Finché ci mettono il Manifesto e il Libretto
rosso, che volete che vi dica, non riesco a preoccuparmi davvero.
05.06.’05