Un colpo di fortuna

La caccia | Trasmessa il: 12/19/2010


    Incontro un tale cui non è piaciuto un mio intervento di domenica scorsa: sapete, quello in cui spiegavo quanto poco mi interessasse l'esito del previsto voto di fiducia di martedì 14, visto che, comunque fosse andato, non avrebbe fatto altro che confermare lo stato di miseria politica in cui versiamo. Lui non è d'accordo, nel senso che una sconfitta parlamentare di Berlusconi gli sarebbe piaciuta assai e a vederlo vincere in quel modo, per tre voti acquisiti a pronta cassa, ci è restato male. Ammetto che un po' male ci sono restato anch'io, perché la teoria è la teoria, d'accordo, ma ciascuno ha diritto a qualche soddisfazione ogni tanto e vedere il capo del governo prendersi un meritato, metaforico pestone sul naso di soddisfazione ce ne avrebbe portata non poca. Tuttavia, gli faccio notare, non si può dire che la sinistra, o quel che ne resta, possa davvero dolersi per l'esito di quel confronto. Il Partito Democratico, in particolare, sembra uscito da questa brutta storia meglio di quanto si sarebbe potuto prevedere.
    Ah certo, concorda lui, che per il Partito Democratico ha qualche simpatia, legge tutti gli editoriali di “Repubblica” e non si perde una puntata di “Ballarò”. Il berlusconismo, gli assicurano queste sue fonti, è definitivamente in declino, tre voti di maggioranza alla Camera non sono nulla e il turpe Silvio se ne accorgerà quanto prima. La sua è stata, a tutti gli effetti, una vittoria di Pirro.
    Non era questo, a dire il vero, che avevo in mente. Sulle vittorie di Pirro si può fare tutta l'ironia che si vuole, ma, poco ma sicuro, sono sempre meglio delle sconfitte e con tre voti di maggioranza, specie se supportati dalla disponibilità monetaria di colui, si può fare parecchia strada. Il fatto è che, da inguaribile pessimista qual sono, non ritenevo che sulle elezioni che sarebbero inevitabilmente seguite alla caduta del governo la sinistra potesse fare gran conto. Sarebbero state, probabilmente, un disastro. Il fatto che il governo non sia caduto allontana, almeno in via provvisoria, un cimento del genere.
    Ma di quali elezioni vado parlando, chiede un po' infastidito il mio interlocutore. Non capisco che non ci sarebbero state elezioni di sorta? Il Presidente Napolitano, che vigila insonne sul bene del paese, non le avrebbe permesse mai. La nostra è una repubblica parlamentare e se cade un governo è dovere del capo dello stato cercare in parlamento una maggioranza alternativa. Raccogliendo le forze disponibili si sarebbe potuto trovare senza difficoltà una personalità sufficientemente autorevole cui dare l'incarico di formare un governo – di transizione, di scopo, di responsabilità, chiamiamolo pure come vogliamo – capace di cambiare la legge elettorale, mettere in cantiere quelle due o tre riforme necessarie, reggere saldamente il timone del paese nella procella della crisi economica e, una volta normalizzata la situazione, restituire ai cittadini un autentico diritto di scelta. Era questo che Berlusconi soprattutto temeva ed è per evitare questo che ha fatto vergognosamente incetta di transfughi prezzolati.
    Non ho il coraggio di dirgli che questo schema, più che esprimere un disegno politico, ha tutta l'aria di un libro dei sogni. Non gli chiedo neanche se era davvero convinto che il PD sarebbe andato al governo con Fini e Casini, perché questa, stringi stringi, era l'unica maggioranza alternativa disponibile. Ed è vero che la politica è l'arte del possibile, ma la prospettiva di allearsi con quelli che, con tutto il rispetto, restano degli ex fascisti e degli ex democristiani, non si poteva dire particolarmente esaltante dal punto di vista delle grandi masse popolari, soprattutto tenendo conto del fatto che sui contenuti di quella alleanza – il modello di legge elettorale, per dire, o le misure economiche da prendere, o le riforme istituzionali cui mettere mano – di intese non ce n'erano punto e le poche idee avanzate via via da singoli o gruppi erano state inesorabilmente bloccate dai dissidi interni e dai veti reciproci. Un bel casino, nel complesso, che deve aver facilitato alquanto l'opera acquisitoria del capo dell'esecutivo, visto che ai vantaggi concreti che il noto magnate poteva mettere sul piatto si contrapponevano delle prospettive politiche, come minimo, un po' vaghe. Ed è facile ipotesi che l'incertezza di quelle prospettive in qualche modo abbia contribuito al risultato del voto di martedì.
    Potrei dilungarmi a lungo sull'argomento, ma, forse, significherebbe infierire. E poi ho il mezzo sospetto che il mio amico, tra sé e sé, queste cose le sappia benissimo. Chissà, forse una mezza idea in merito ce l'hanno persino Bersani, la Bindi e gli altri (tranne D'Alema, s'intende, che ha tutta l'aria di un caso incurabile). Per cui staremo a vedere e mentre ci separiamo con espressioni di reciproco conforto, pensiamo tutti e due che essersi fatta bocciare la mozione di sfiducia è stato, per la sinistra, un bel colpo di fortuna.
19.12.'10