Un anniversario silenzioso

La caccia | Trasmessa il: 02/15/2009


    Mi sono un po' stupito, ve lo confesso, per la scarsa – o nulla – rilevanza che i media hanno concesso, mercoledì scorso, all'ottantesimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Sappiamo che nell'attuale sistema delle comunicazioni gli anniversari sono merce pregiata, specie se di tipo decennale, e visto che in questi giorni si si è largheggiato in rievocazioni di eventi anche meno importanti, che so, il centenario del manifesto del Futurismo (un bluff ideologico se mai ve ne fu uno) o il cinquantenario della convocazione del Concilio Vaticano II (della convocazione, dico, non del Concilio in sé, che di fatto si è svolto un bel po' dopo), non si capisce proprio perché si sia trascurato un fatto storico che ha segnato non poco la realtà ideologica della nazione. In fondo, se la Provvidenza non avesse fatto incrociare il cammino di papa Pio XI con quello di un uomo che “non aveva le preoccupazioni della scuola liberale” – come lo stesso pontefice ebbe a definire, con un tantinello di reticenza, il Duce del Fascismo – la storia del nostro paese sarebbe stata piuttosto diversa. Come diversa sarebbe stata, d'altronde, se nel '48 Togliatti non avesse consentito, per i fin troppo noti motivi, all'inserimento di quegli accordi nella Costituzione repubblicana e se Craxi, nel 1984, non avesse confermato, sia pure in un altro testo, lo strumento concordatario. Mi direte che ci sono altri e più sostanziali motivi se in Italia la chiesa cattolica esercita a tutt'oggi uno strapotere indegno di uno stato moderno, e se i cittadini italiani, su tutta una serie di importanti dilemmi morali, sono sollevati dalla necessità di decidere con la propria testa, essendo le scelte relative predefinite ex lege secondo i desiderata chiesastici, ma i patti firmati l'11 febbraio 1929 dal cavalier Mussolini e dal cardinale Gasparri – nessun rapporto, credo, con l'attuale capogruppo dei senatori PDL – rappresentano, in un certo senso, il fondamento giuridico di tutto questo ambaradan. Per cui, visto che la situazione, a parte quei pochi laici spelacchiati che ancora si ostinano a sopravvivere, soddisfa pienamente le autorità civili e religiose, ci si sarebbe aspettata una qualche commemorazione, quali se ne sono avute in passato. Per lo meno un messaggio presidenziale, un'intervista televisiva o un microfono aperto, che, com'è noto, sono cose che non si negano a nessuno. Oltretutto, ricorderete che nella settimana testé trascorsa non erano mancate, a livello di pubblico dibattito, le occasioni per interrogarsi sui rapporti tra etica laica e precettistica religiosa, nonché su quelli tra il dogma ecclesiastico e la legislazione civile.
    Invece niente. Anche coloro che, a proposito della tragedia della famiglia Englaro, sposavano il punto di vista delle sante gerarchie, hanno preferito farlo, per così dire, in forma implicita, a costo di ricorrere alle argomentazioni più speciose e meno convincenti (anche se nessuno è riuscito ad attingere alle vette raggiunte dal presidente del consiglio quando ha parlato della possibilità che quella povera donna potesse “benissimo avere dei figli”) e l'anniversario è stato lasciato cadere nel più assordante silenzio.
    E, in fondo, si capisce. Perché il concordato del 1929 e quello del 1984 sono ovviamente alla base dei rapporti giuridici tra chiesa e stato in Italia, ma per uno di quei curiosi paradossi che la storia talvolta produce, c'è ben poco di concordatario nelle forme in cui, al giorno d'oggi, quei rapporti si manifestano. Un concordato, stringi stringi, è un patto tra due potestà, ciascuna delle quali si assicura qualcosa e a qualcosa rinuncia, per necessità o in vista di un qualche comune vantaggio, e il cavalier Mussolini, pur condividendo con il suo parititolo di ottant'anni più tardi una certa tendenza a mettere i propri interessi personali e di parte al di sopra di quelli generali del paese, non era certamente un babbione, disposto a dare totale mano libera alla controparte. Lo dimostra l'insorgere, negli anni '30, di quel “conflitto dopo la conciliazione” che i cattolici, in seguito, avrebbero enfatizzato anche troppo, tanto per procurarsi una patente di antifascismo a buon mercato, ma che allora segnò indubbiamente una certa frizione nei rapporti tra chiesa e regime. Oggi, ditemi voi se vedete anche l'ombra di un conflitto o se vi sembra che Ratzinger e i suoi siano disposti a rinunciare qualcosa. Con una radicalità che l'operaismo degli anni '70 esprimeva soltanto a livello di slogan, quei (mon)signori vogliono tutto e tutto viene loro concesso da una classe politica che, indegnamente dimentica dei suoi doveri di rappresentanza generale, è fin troppo felice di prostrarsi ai loro piedi calzati di viola. Non per niente “Le Monde”, che, uscendo in Francia, è libero di occuparsi di queste faccende, ha intitolato un suo ampio servizio da Roma con un espressivo “Il Vaticano invade l'Italia”.
    Lo trovate esagerato? Ba': quello che nessuno può certamente negare è che il dogma cattolico, malamente travestito da “morale naturale”, domini il diritto e conculchi la scienza, che l'autorità episcopale si imponga sulla libertà di tutti e che gli interessi della chiesa, siano monetari o di potere, vengano regolarmente privilegiati. E che nessuno, né al governo né, tanto meno, all'opposizione, sente il minimo bisogno, non che di giustificarsi, semplicemente di ammetterlo. Il silenzio, da questo punto di vista, è notoriamente d'oro e celebrare quell'anniversario potrebbe fare venire in testa alla gente delle idee. Che meno idee girino meglio sia, d'altronde, è sempre stato un vecchio assioma del clero.

    15.02.'09



    Nota

    Per il concordato e il conflitto dopo la conciliazione resta indispensabile il vecchio saggio di Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cent'anni: l'ultima edizione, Einaudi, Torino, è del 1975. Di utile consultazione è ancora Cattolici e laici contro il concordato, a c. d. Luigi Rodelli, Dall'Oglio, Milano 1970.