Strani pluralismi

La caccia | Trasmessa il: 05/06/2012


    Strani pluralismi

    Chissà se è davvero convinto, il ministro Riccardi, del fatto che le orribili vessazioni cui sono sottoposte le comunità cristiane nell'Africa occidentale, segnatamente in Nigeria, sono dovute essenzialmente all'odio che i malvagi nutrono per i buoni. Lo ha dichiarato, con parole appena un po' meno esplicite, in una intervista al “Corriere” lunedì 30 aprile, affermando che se nel Nord di quel paese si vuole costringere all'esodo la minoranza cristiana ciò avviene “perché i cristiani sono miti, si confrontano, dialogano, sono una garanzia di pluralismo che il totalitarismo musulmano vuole annientare”. D'altronde, aggiunge, questo non avviene soltanto in Nigeria: “anche dove non c'è violenza religiosa, si attaccano comunque i cristiani”, perché, oltre a essere miti, “rappresentano un saldo e gratuito presidio di umanità”, e poi va ricordato che analoghe epurazioni sono in corso anche in altre parti del mondo, come in Iraq, dove si sta conducendo “una pulizia etnica che attraverso assassinii sistematici vuole costringere i cristiani ad abbandonare le terre che hanno sempre abitato e dove convivono con i musulmani da più di mille anni”. Non si tratta, comunque, solo di limitazioni alla libertà di culto e della pratica religiosa. Papa Giovanni Paolo II ebbe a dire che il Novecento era tornato a essere “un secolo di martiri” e a quella definizione si intitola il libro che lo stesso Riccardi ha scritto una decina d'anni fa sull'argomento. E il tema non ha una dimensione puramente confessionale, perché rientra in quello, universale, del rispetto dei diritti delle minoranze e se “oggi tocca soprattutto ai cristiani, domani arriverà l'ora del musulmano diverso, delle donne, dei laici, delle minoranze etniche... Il totalitarismo è un mostro che, alla fine, divora i popoli”.
    Tutto questo è abbastanza vero, anche se fa un po' impressione leggere, in testa all'intervista, un titolo come “I cristiani perseguitati perché simbolo di pluralismo”, come se il pluralismo fosse connaturato al DNA dell'esperienza cristiana e avesse accompagnato quella religione ininterrottamente per tutta la sua storia. Alcuni potrebbero obiettare che la chiesa, storicamente, il pluralismo lo ha avversato e si è battuta per le tutela delle minoranze solo quando ne faceva parte essa stessa, e non sarebbe inopportuno ricordare che il martirio, ahimè, non è l'esclusiva di nessuna fede nota alla storia. Ma sarebbe una polemica fuori luogo, oltre che inopportuna: oggi il “totalitarismo musulmano”, che Riccardi, va detto, non identifica con l'intero Islam, ma individua soltanto come una tendenza al suo interno, vive effettivamente una fase di violenta aggressività e molti cristiani, tra gli altri, ne fanno dolorosamente le spese.
    Ci sarà un motivo, tuttavia, se il fenomeno è diffuso in paesi così lontani e diversi tra loro, dalla Mesopotamia, dove la presenza del cristianesimo è un fatto antico, che precede di secoli la stessa conquista islamica, all'Africa equatoriale, dove risale al massimo all'era moderna. La stessa categoria di “totalitarismo”, in questa prospettiva, è troppo generica per poter dare ragione di un atteggiamento tanto diffuso a livello globale. Tutte le religioni sono, per loro natura, totalitarie, nel senso che aspirano tutte a dare una risposta totale ed esaustiva al problema esistenziale dell'umanità e tutte, in quanto convinte di attingere in forma più o meno definitiva a una verità indiscutibile in quanto divina, non possono considerare le fedi concorrenti sul loro stesso piano, ma non sempre le frizioni interreligiose si risolvono nei fatti di violenza generalizzata di cui ci parlano le cronache oggi. Se equilibri che si sono retti per oltre un millennio sono saltati di colpo, non sarà successo per caso.
    Il ministro Riccardi, fondatore e animatore di quella Comunità di Sant'Egidio che è stata spesso considerata una sorta di braccio diplomatico ufficioso del Vaticano nel Terzo Mondo, queste cose le sa benissimo, ma le sue spiegazioni, anche se ineccepibili sul piano della correttezza politica, sono davvero troppo generiche per poter essere accettate. Quando poi cede alla tentazione di risolvere tutto in termini di maggiore o minore mitezza, di tendenza innata al pluralismo da una parte e al totalitarismo dall'altra, rinuncia semplicemente a dare delle spiegazioni e si avventura baldanzoso sul terreno minato della propaganda.
    Il fatto è che le tribolazioni delle comunità cristiane in Africa e in Medio Oriente, le vere e proprie persecuzioni che subiscono da parte di governi o di organizzazioni di vario tipo, non dipendono esclusivamente (forse non dipendono affatto) da motivazioni religiose. Quei paesi sono stati segnati, in un modo o nell'altro, dalla esperienza del colonialismo, dalla subordinazione alle potenze occidentali, che ne hanno sfruttato le risorse e vi hanno importato i loro modelli culturali, presentandoli spesso come l'unica forma possibile di civiltà. Quello che i Riccardi di questa terra considerano una forma di totalitarismo spesso è solo il rifiuto di questo tipo di imposizione, il recupero – in forme violente e incontrollabili – di una identità propria. L'Occidente, diciamolo, non ha portato la civiltà al Terzo Mondo: vi ha piuttosto seminato contraddizioni e rovine, tanto sul piano ideologico quanto su quello della vita civile, suscitando rancori e risentimenti di cui i suoi nemici non si fanno scrupolo di approfittare. E le chiese cristiane, loro malgrado, finiscono per pagare il fio della loro identificazione con la cultura degli aggressori: sono nella sgradevole situazione di chi è stato preso in ostaggio in una guerra non dichiarata ma non per questo meno sanguinosa. Il che avviene persino in paesi, come l'Iraq e il Sud dell'India, in cui il cristianesimo vanta antiche tradizioni autoctone: figuriamoci là dove è stato importato in tempi recenti al seguito dei colonizzatori, a prescindere dalla buonafede e dai meriti personali dei singoli missionari e dei molti che alla coincidenza di evangelizzazione e civilizzazione hanno sinceramente creduto.
    La civiltà, ahimè, non è definibile univocamente e i suoi valori non possono essere imposti con la forza. Questo vale nella dimensione religiosa come in quella laica. L'Occidente, che si vanta di aver creato la civiltà della tolleranza, dell'uguaglianza e della libertà di pensiero, ha clamorosamente contraddetto i suoi valori fondanti nei rapporti con il resto del mondo e non può più invocarne l'universalità a propria difesa, per quanto inquietanti possano sembrare le istanze che agitano i suoi nemici. Per rompere questa specie di circolo vizioso, sarebbe necessario intraprendere un lungo, faticoso cammino. Rifugiarsi nell'illusione di una propria superiorità, anche in termini di mitezza e propensione al pluralismo, può rappresentare, al tempo stesso, una tentazione e una scorciatoia. Ma è una scorciatoia che non porta da nessuna parte e bisognerebbe far sempre ogni possibile sforzo per evitarla. Potrebbe essere il primo passo.