Strani altruismi e bizzarre riconciliazioni

La caccia | Trasmessa il: 05/09/1999



Non so se la guerra finirà davvero il 15 maggio, come si è fatto intendere dopo l’accordo, se tale lo si può definire, faticosamente raggiunto tra le potenze occidentali e la Russia nella riunione dei G8.  Spero, naturalmente, di sì, anche se finora i raid si sono infittiti, il Congresso americano ha festeggiato l’evento stanziando 13 miliardi di dollari di spese militari straordinarie e i responsabili dell’Uck hanno dichiarato che a farsi disarmare loro neanche ci pensano, per non dire del fatto che bombardare l’ambasciata cinese non sembra esattamente il modo migliore per garantire l’indispensabile appoggio diplomatico di quel paese al processo di pace.  Ma comincio ad avere il sospetto che, in ogni caso, le conseguenze di questa guerra, quali che ne saranno gli esiti, peseranno su tutti noi molto a lungo.  E non solo perché ci vorranno molto tempo e molte risorse per ricostruire tutto ciò che la stupida violenza della logica militare ha distrutto.  Il fatto è che, certe volte, sembra che anche la capacità di ragionare sia stata ridotta in macerie.
        Ieri, per esempio, mi è capitato di leggere su “la Repubblica” un garbato intervento in cui si sosteneva che Peter Handke, l’unico intellettuale di un qualche peso e notorietà che abbia compiuto lo sforzo di cercar di capire i punti di vista di entrambi le parti in conflitto, meriterebbe per questo di essere “liquidato”.  Sì, avete sentito bene, liquidato: finished, come specificava tra parentesi il traduttore, nel timore che qualche possibile biasimo potesse ricadere su di lui, e non sull’autore della proposta.  Il quale autore, poi, non era un cretino qualsiasi, ma il ben noto Salman Rushdie, uno che sulla inopportunità di risolvere le controversie ideologiche liquidando gli scrittori che se ne fanno interpreti dovrebbe saperne qualcosa.  Ma siamo in guerra e in guerra – si sa – di tutto si ha bisogno fuorché di qualcuno che cerchi di comprendere le ragioni del nemico.
        Un’altra affermazione straordinaria l’ho letta sulla “Stampa” dell’altro ieri.  Uno storico eminente come George Steiner, richiesto della sua opinione sulla guerra, risponde che gli sembra “la prima guerra altruista” cui gli sia capitato di assistere.  E di fronte allo stupore dell’intervistatore, specifica che sì, questa è una guerra altruista perché non si propone conquiste territoriali o economiche, ma solo quella “ingerenza umanitaria” di cui parlano Clinton e Blair, e che per di più rappresenta l’avvio della “riconciliazione dell’Occidente con il proprio passato”, nel senso che i paesi che mezzo secolo fa hanno permesso, in piena Europa, le nefandezze dell’Olocausto non hanno potuto “reggere all’idea” che quell’orrore tornasse a compiersi.
        Ora, chi vi parla non è uno storico, ma ha l’impressione che con questa guerra quei paesi (cui si è aggiunta, guarda un po’, la Germania) stiano riapplicando pari pari le stesse tecniche che oltre mezzo secolo fa non hanno impedito l’Olocausto e che infatti oggi non riescono a impedire, ma anzi incrementano, la pulizia etnica.  Ma posso sbagliarmi, naturalmente.  Quello su cui, invece, non credo di sbagliare è la convinzione per cui una guerra altruista proprio non è possibile.  Certo, si può combattere, o sostenere di combattere a favore di qualcun altro (anzi, dai tempi in cui i romani scatenavano le guerre puniche per aiutare gli abitanti di Sagunto o conquistavano la Numidia per difendere Aderbale da Giugurta, non sono stati molti quelli disposti ad ammettere di combattere soprattutto a proprio vantaggio), ma in quell’ottica, non c’è santi, per giovare a qualcuno bisogna nuocere a qualcun altro.  E l’altruismo, purtroppo, non è divisibile: o si è altruisti o non lo si è, e non si può esserlo con certi sì e con certi altri no.
        Il fatto è che né per Rushdie né per Steiner, che in fondo incarnano, ciascuno a modo suo, quel modello di pensiero democratico liberal che oggi va per la maggiore e a cui, non a caso, si richiamano i governi dei principali paesi in guerra, compreso, ahimè, il nostro, il nemico non è un “altro” come gli altri, se mi permettete il bisticcio.  Se sei democratico e liberal, dovresti essere anche tollerante e disponibile al dialogo, e di guerre, in linea di principio, non ne dovresti fare per niente.  E allora quando ne fai una, dovrai ben giustificarti, no?  E non puoi limitarti a dire che il nemico è cattivo: deve essere molto, ma molto cattivo.  L’incarnazione del male, possibilmente.  Uno con cui non si discute e non si tratta, uno le cui ragioni non vanno assolutamente prese in considerazione, a costo di “liquidare” chi le riferisce, uno che si può soltanto distruggere.  È per questo, in fondo, che Milosevic è stato promosso, da ambiguo tirannello balcanico qual era fino a pochi mesi fa (quando gli Stati Uniti, tutto sommato, contavano su di lui) a reincarnazione contemporanea di Hitler.  E che sui serbi (che se lo saranno in gran parte voluto, figuriamoci, ma non è questo il punto) si esorcizza la colpa di non essersi opposti, a suo tempo, al nazismo.  Come se per “riconciliarsi” con il proprio passato bisognasse avere a tutti i costi qualcuno da distruggere, un altro da sé da investire delle proprie colpe.  Da questo tipo di altruismo, credetemi, è meglio tenersi alla larga.

09.05.’99