Strane feste e strane bandiere

La caccia | Trasmessa il: 03/06/2011


    Non so se qualcuno si sia preso la briga di spiegare ai consiglieri leghisti della nostra regione, quelli che hanno così risolutamente contrattato l'adesione alla ricorrenza unitaria del 17 marzo con l'istituzione di una “festa della Lombardia” il 29 maggio, intesa come anniversario della battaglia di Legnano, che in quel fatto d'armi, quale che sia la sua rilevanza storica, ci furono combattenti lombardi su entrambi i fronti. Non è necessario, per esserne a giorno, aver compiuti particolari studi di storia medioevale: basta aver letto, alle medie, “Il Parlamento” di Giosuè Carducci – ai miei tempi era praticamente d'obbligo – per sapere, per bocca del console Gherardo, che l'imperator, fatto lo stuolo in Como, muoveva l'oste a raggiungere il Marchese del Monferrato ed i pavesi e se termini aulici come “fare lo stuolo” o “muovere l'oste” sono forse al di sopra delle competenze lessicali del leghista medio, qualcuno tra loro provvisto di uno straccio di laurea e in grado di spiegarne il significato agli altri ci sarà pure. Naturalmente, è da un certo tempo che il Monferrato fa parte del Piemonte, ma Como e Pavia, oggi come allora, sono città lombarde a tutti gli effetti e non si vede perché dovrebbero festeggiare il ricordo di quella loro antica sconfitta. In realtà, fu proprio per impedire che Milano si trovasse stretta a tenaglia tra i nemici (lombardi) del sud e quelli (altrettanto lombardi) del nord che Alberto da Giussano, o chi per lui, mosse contro l'esercito imperiale a Legnano. Fu, quella, una vittoria molto più milanese che della Lega e infatti gli altri comuni collegati, timorosi di una possibile egemonia ambrosiana, si affrettarono a stipulare con il Barbarossa una serie di accordi separati, che permisero all'imperatore di rientrare abbastanza indenne nei suoi domini germanici. Del come e perché un episodio dal significato così ambiguo sia assurto al rango di mito nazionale, credo di avervi già parlato all'inizio della scorsa stagione.

    Tutto questo non turberà certo i sonni dei consiglieri lombardi, che pure si sono sentiti rimproverare dai loro stessi colleghi di maggioranza per aver perso l'ennesima buona occasione per tacere. Della verità storica, agli inventori della nazione Padania, interessa notoriamente ben poco. Tanto è vero che con lo stesso voto in consiglio hanno imposto (o proposto, non si capisce bene) una nuova bandiera per la regione, quella croce di San Giorgio rossa in campo bianco che, sia pure sotto forma di gonfalone, sventolava quel giorno sul Carroccio.
    Ecco, anche questo della nuova bandiera è un altro argomento che lascia perplessi, anche ammesso che di una bandiera, vecchia o nuova, la Lombardia abbia mai sentito davvero il bisogno. Da un lato, se la sua adozione significherà la sparizione dell'attuale stendardo verde con “rosa camuna” bianca, un vessillo ffeddino e ben poco entusiasmante, che sembra obbedire più ai canoni della grafica pubblicitaria che a quelli di qualsiasi tradizione araldica, non potremo che rallegrarcene. Dall'altro, è difficile non osservare che a una bandiera si chiede soprattutto di essere un simbolo di identità, un emblema di riconoscimento, e che è difficile assegnare questa funzione a una combinazione simbolica tanto diffusa quanto quella della croce rossa in campo bianco. Quei colori, in Europa, si ritrovano un po' dappertutto. Sono quelli della città di Milano, ma anche di quella di Genova e di parecchi comuni settentrionali; hanno sventolato per secoli sui navigli della Repubblica Ligure e sono riconosciuti ancor oggi come i colori storici dell'Inghilterra, della Georgia e di un'altra mezza dozzina di territori sparsi ai quattro angoli del pianeta. D'altronde si capisce: quella croce campeggiava sugli stendardi delle Crociate e avevano diritto a fregiarsene, nella versione detta di san Giorgio o in quella a colori invertiti, tutte le dinastie e le comunità che alle Crociate avessero in un modo o nell'altro partecipato. Il che poteva avere un suo significato a quei tempi, ma dovrebbe averne tutto un altro oggi, quando la storiografia, finalmente, si è decisa a vedere in quelle spedizioni non tanto una manifestazione di pietà cristiana e un impulso alla evangelizzazione, quanto un feroce massacro in cui le motivazioni religiose si mescolavano indissolubilmente a quelle economiche e di potere. Una prima espressione, insomma, dello scontro di civiltà.
    Di ricordare quei tempi e quei fasti, noi non abbiamo certo bisogno. Ma ne ha bisogno, evidentemente, la Lega, che, contribuendo come può alla diffusione dell'analfabetismo storico, cerca sempre di nobilitare il suo sostanziale razzismo e la sua innata xenofobia. Il fatto che chieda che la Regione in cui ha le radici innalzi proprio quella bandiera sarà forse un caso, ma è un caso, comunque, significativo. Quella affermata in nome dell'ostilità contro l'altro, del rifiuto della sua identità e della sua stessa esistenza, è sempre e comunque l'unica unità che siffatti figuri possano concepire. Quasi quasi, forse sarebbe meglio tenerci la rosa camuna.