Strane facce

La caccia | Trasmessa il: 05/22/2011


    Spero proprio che non vi siate persi la mostra di Giuseppe Arcimboldi a Palazzo Reale (nel caso, credo che abbiate ancora tempo tutto questo pomeriggio per rimediare). Secondo me ha rappresentato, tra gli innumerevoli “eventi” museali che di questi tempi ci vengono proposti, il meno frivolo e il più interessante. Certo, come succede spesso, è stata una mostra per certi versi “gonfiata”, nel senso che a una selezione delle opere del maestro si è deciso di affiancare, con il pretesto di illustrarne i tempi e il contesto, tutta una serie di oggetti che un po' c'entravano e un po' no, ma era materiale, comunque, che valeva la pena vedere – straordinari, per esempio, gli esempi di “arte suntuaria” (come a dire artigianato di lusso) milanese del XVI secolo – e, nel complesso, non disturbava troppo. Ed era comunque la prima volta, o quasi, che un numero cospicuo di tele e tavole di questo nostro concittadino, solitamente disperse per le gallerie e le collezioni di mezza Europa – da Vienna, a Monaco, a Parigi, a Stoccolma – veniva radunato a beneficio dei milanesi. I visitatori non sono stati, mi è sembrato di capire, moltissimi, ma naturalmente il successo di una mostra d'arte non si misura soltanto in termini quantitativi.
    L'Arcimboldi, come senz'altro saprete, è l'autore di quelle stranissime “teste” ottenute mediante l'aggregazione di oggetti distinti: fiori, frutti, animali e – più di rado – artefatti. Il suo “Ortolano”, così, è un ritratto composto essenzialmente da rape e cipolle, la “Primavera” è una fantasmagorica combinazione di foglie e di fiori, l'allegoria del “Fuoco” è un volto ottenuto dalla sovrapposizione di esche, acciarini e stoppacci, con l'aggiunta di una capigliatura di carboni ardenti, mentre quella dell'“Acqua” risulta dall'ingegnoso accostamento di una sessantina di esemplari di fauna marina del Mediterraneo. Nonostante l'eleganza del tratto e il minuzioso realismo con cui è realizzato ogni singolo componente, l'effetto finale è quello di una straordinaria sintesi allucinatoria, che prefigura non soltanto il vicino barocco (l'artista visse tra il il 1527 e il 1593), ma certe esperienze contemporanee di arte concettuale. Io, che con l'arte non bazzico poi tantissimo, ne sono sempre stato affascinato.
    Proprio perché non sono, comunque, né uno storico né un critico, non voglio imporvi i miei gusti. Volevo solo invitarvi, nel caso vi capitasse di imbattervi in un quadro dell'Arcimboldi, di azzardare un piccolo esperimento percettivo. Le sue teste, al primo approccio, magari viste da una certa distanza, come quando si entra nella sala in cui sono esposte, o distrattamente, come quando si sfogliano le tavole di un libro di riproduzioni, sembrano abbastanza “normali”: personaggi bizzarri, certo, dai lineamenti curiosi e dalle insolite colorazioni, ma, nel compresso, riconoscibili per tali. In un singolo caso l'artista è persino riuscito a realizzare il ritratto riconoscibile di uno dei suoi nobili committenti, l'imperatore Rodolfo II, che invece di adontarsi nel vedersi raffigurato mediante una ingegnosa combinazione di frutti, ortaggi, spighe di grano, baccelli e grappoli d'uva, se ne compiacque tanto da insignire il pittore del titolo di conte palatino. Tuttavia, quando si comincia a esaminare da vicino ogni singola opera, a prendere coscienza degli elementi che la compongono, ad ammirare l'ingegnosità con cui essi vengono utilizzati per raffigurare qualcosa d'altro da sé, rendendosi conto, per esempio, che il volto dell' ”Acqua” non è, in realtà, la faccia più o meno normale di una divinità marina, ma consiste nella sovrapposizione di una seppia, uno squalo, una razza, un rombo, una foca, una cicala di mare e via andando, quell'effetto, fatalmente, si perde. La faccia inesorabilmente sparisce e chi guarda si trova di fronte soltanto un guazzabuglio di fiori, frutti e animali. È necessario, per farla ricomparire, uno sforzo di volontà, la decisione espressa di rivederla, magari aiutandosi con qualche gesto che segni uno stacco, come chiudere gli occhi e riaprirli, o fare un passo indietro, o cambiare la prospettiva dello sguardo. Allora, e soltanto allora, ci si potrà ritrovare davanti il viso della Primavera, elegantissima nel suo colletto inamidato di primule e margherite o l'espressione benevola dell'imperatore Rodolfo, con il suo bel nasone asburgico, che è tornato a essere un naso e non è più, semplicemente, una pera.
    Tutto questo vi sembrerà forse un po' ovvio, ma è, in un certo senso, istruttivo. È una prova del fatto che la percezione non è quel fenomeno passivo che di solito pensiamo che sia, per cui uno apre gli occhi e registra attraverso lo sguardo le cose che stanno, belle e pronte, fuori da lui. Chi vuole vedere davvero qualcosa deve, al contrario, metterci qualcosa di suo, deve “decidere” se organizzare i vari profili e i vari colori che gli è dato distinguere sotto la forma di una faccia o sotto quella di un mazzo di fiori. Perché noi vediamo, in definitiva, ciò che vogliamo vedere, e quella di considerare qualcosa come una componente di qualcosa d'altro o come un composto di elementi diversi, come un insieme o come una serie di particolari, come uno sfondo o come un primo piano, è una decisione solo ed esclusivamente nostra. Non succede, ovviamente, soltanto con le opere dell'Arcimboldi, che su quel genere di ambiguità ha deciso di giocare la sua scommessa di artista: capita ogni volta che ci capita di vedere degli alberi invece di un bosco, una libreria invece di un certo numero di libri, un cielo annuvolato piuttosto che delle nuvole in cielo. Il nostro amico Accame che di queste cose si intende più di me, vi potrebbe senza dubbio parlare dell'importanza di queste operazioni al fine della costruzione del mondo nel quale viviamo.
    Io, che sono più terra terra, mi limiterò a farvi notare come la dialettica tra l'insieme e i particolari faccia parte del nostro argomentare quotidiano anche dal punto di vista ideologico. E per forza: se si “tengono” i primi, sparisce il secondo, e viceversa, e quello che sparisce si porta via i valori che gli sono annessi. Per questo chi vuole distogliere l'attenzione dei suoi interlocutori dalla situazione globale del paese, o della città, o della regione – o di qualsivoglia altra entità di cui ci si sta occupando – cercherà di mettere a tutti i costi in risalto i particolari che considera significativi per la sua causa e su questi, non sull'insieme, sarà disposto ad accettare il dibattito, mentre chi sull'immagine globale si sente più forte e sui singoli fatti ha un po' di coda di paglia inviterà a non perdersi nelle minuzie e a concentrarsi sul quadro generale. Entrambi gli inviti sono, ciascuno a suo modo, legittimi, ma entrambi possono servire a confondere gli argomenti dell'avversario senza fornire dei veri elementi di giudizio. Come a dire che si tratta, sostanzialmente, di argomentazioni ideologiche.
    Con tutto questo, naturalmente, il povero Arcimboldi c'entra assai poco. Ma chi non vuole essere subissato da una quantità di particolari di maggiore o minore rilevanza, può provare a seguire il procedimento che vi ho consigliato a proposito dei suoi quadri: chiuda gli occhi, faccia un passo indietro e li riapra. Si troverà così, al di là delle singole polemiche sulla giustizia, sulle tasse, sulla scuola e su quant'altro i nostri governanti continuano a sottoporre ossessivamente alla nostra attenzione, o, quanto a questo, delle beghe sulle frequentazioni sessuali del Premier e sul suo stile di vita, di fronte all'immagine di un paese in piena, globale, innegabile crisi. Perché sui particolari possiamo anche accapigliarci, ma sul fatto che ci troviamo nelle canne fino al collo, ahimè, non ci piove. Già: si può credere di stare parlando di storia dell'arte, ma quale che sia il punto di partenza è lì che si finisce e faremo bene a non dimenticarcene mai.

    Oh. Anche qui a Milano, domenica scorsa, i cittadini elettori devono aver compiuto un'operazione del tipo di quella che vi dicevo. Subissati da particolari più o meno rilevanti, dalle polemiche sulle frequentazioni giovanili del candidato del centrosinistra e sulle sue supposte traversie giudiziarie, dalle lamentazioni sui magistrati a quelle sulle moschee (come se voler processare un imputato o avere un luogo di culto fossero delle pretese insopportabili), dalle finte inaugurazioni di finte opere pubbliche e, più in generale, da un clamore mediatico organizzato apposta per distogliere la loro attenzione dall'oggetto del contendere, i milanesi hanno chiuso gli occhi, li hanno riaperti e si sono trovati dinnanzi il volto di una città umiliata e vilipesa, nulla nei cui tratti ricordava quelli della metropoli operosa e ospitale di pochi decenni fa. Sarà per questo che hanno scelto come hanno scelto e speriamo in bene per il futuro.

    22.05.'11