Simboli vuoti

La caccia | Trasmessa il: 05/29/2011


    Di una cosa sono sicuro, a proposito delle elezioni di oggi e domani: che quando si saranno concluse, chiunque le vinca, non sentiremo più parlare della proposta, così largamente discussa in questi giorni, del cosiddetto “trasferimento al Nord” dei ministeri piccoli o grandi. E sarà un bene per tutti, perché mai, in un dibattito elettorale, è stata avanzata – e occasionalmente presa sul serio – proposta più insulsa, insensata e, in ultima analisi, offensiva per gli elettori cui era diretta. Il fatto stesso che a qualcuno sia venuta l'idea e che non abbia ricevuto per tutta risposta un sobrio invito ad andare per rane è una prova della bassura in cui si dibatte la politica nazionale.
    Perché, vedete, il problema non è se la proposta sia giusta e sbagliata. Il fatto è che non ha proprio senso. Le città dell'Italia settentrionale, salvo Torino, non hanno mai avuto, in epoca moderna, un ruolo di capitale e quindi non hanno una tradizione di ministeri. Milano capitale lo è stata per qualche anno, in età napoleonica, e qualche struttura del genere l'avrà anche conosciuta, ma il Bonaparte la governava con pugno di ferro attraverso ministri suoi da Parigi e altrettanto avrebbe fatto, nei decenni successivi, l'Imperatore d'Austria da Vienna. E tra i vari motivi di doglianza che questa situazione comportava, la mancanza di ministeri era senza alcun dubbio l'ultimo in graduatoria. Non ha impedito, certamente, che la nostra città prosperasse e diventasse il più grande centro economico e culturale della penisola. Anzi, il fatto che le strutture amministrative, con il loro alone di burocrazia e parassitismo, risedessero a Roma è sempre stato, per gli ambrosiani doc, motivo di sollievo e conforto. Il dato è entrato persino a far parte della ideologia cittadina, dei luoghi comuni con cui la cittadinanza alimenta la coscienza di sé.
    E poi, scusate, che significato può avere una sede ministeriale? Quello che conta, in quegli organi, sono le attribuzioni: se a Milano avesse sede un ministero dotato di pieni poteri di governo e bilancio sulla Lombardia e dintorni sarebbe certo una cosa importante, ma che vi sia trasferita una branca del governo nazionale, responsabile verso il centro e con competenza sul paese tutto, non cambierebbe, dal punto di vista delle autonomie, la classica fava. I milanesi potrebbero guadagnarci qualche posto di lavoro subordinato, ma non aumenterebbero di un ette i loro poteri e la loro influenza. Nell'età dell'informatica e delle comunicazioni istantanee non se ne gioverebbero neanche quanto alla velocità d'inoltro delle proprie pratiche.
    E allora perché tanto casino? Be', è ovvio: chi comanda, in questo allegro paese, cerca sempre di dar l'impressione di cambiare qualcosa, senza essere in grado di cambiare niente né di avere, d'altronde, il coraggio di farlo. Come a dire che gli atti di governo vengono assunti soprattutto in ragione del loro valore simbolico, a patto – naturalmente – che si tratti di simboli vuoti, privi della benché minima conseguenza sulla realtà effettuale. L'idea di trasferire i ministeri al Nord, da un punto di vista leghista, rientra a puntino in questa tipologia di proposte: sembra proporre chissà che e non comporta la minima minaccia allo status quo, che alla Lega, si sa, va benissimo così come è purché non lo si dica. Ed è vero che in periodo elettorale tutto fa brodo, ma di questa brodaglia leggera e insapore faremmo tutti volentierissimo a meno. Abbiamo, tutto sommato, cose più serie di cui preoccuparci.

    29.05.'11