Il commissario Charitos, della polizia di Atene, è appena alla sua terza
avventura, ma si è già conquistata un’invidiabile popolarità: sarà perché
le lettere neogreche da un po’ tirano più del solito (lo si è visto anche
al recente Salone del Libro di Torino), ma le lodi di quello che è unanimemente
definito “Il Maigret ellenico” fioriscono davvero un po’ dappertutto.
Naturalmente l’epiteto è un po’ semplicistico, perché se è vero
che l’eroe di Petros Markaris si può ricondurre, più o meno, alla tipologia
del poliziotto dal volto umano stabilita tanti anni fa da Georges Simenon,
è anche vero che ne rappresenta un’incarnazione, diciamo così, più moderna,
alquanto più sgarruppata e parecchio più nevrotica, cui non deve essere
stata estranea la lezione del suo parigrado Montalbano, ma, insomma, quello
che conta è capirsi. Markaris è un autore colto (ha tradotto il Faust
di Goethe e ha lavorato come sceneggiatore con Anghelopulos) e, pur accettando
lealmente le categorie del giallo, non intende rinunciare a un discorso
generale su una società, come quella greca, che sta vivendo una delle sue
fasi di più rapida trasformazione. In questa occasione, Charitos,
ancora convalescente dalle conseguenze del colpo di pistola con cui si
concludeva Difesa a zona, indaga, prima di sua iniziativa, poi in forma
scrupolosamente ufficiosa, sugli strani suicidi in pubblico di tre personaggi
eminenti del milieu ateniese: un uomo d’affari di successo, un politico
in ascesa e un giornalista di quelli che contano. Tutti e tre, guarda
caso, hanno alle spalle un’esperienza con il movimento degli anni ’60,
tutti e tre hanno passato i loro guai con la giunta, e adesso, proprio
adesso che sono arrivati al top, uno si spara, l’altro si accoltella e
il terzo si dà fuoco e sempre, se non proprio in diretta, sotto l’occhio
delle telecamere. Il problema, allora, più che quello dell’identificazione
di un assassino (i suicidi, non si scappa, sono solo suicidi) sarà quello
di capire cosa è successo delle speranze e delle lotte di quegli anni e
– più in generale – di dove diavolo sta andando il paese. Un compito
che un semplice sbirro di mezza tacca non sembrerebbe il più adatto ad
assumersi, ma se non ci pensa lui, si capisce subito, non lo farà nessun
altro, per cui forza: Charitos dovrà immergersi, più che in una normale
inchiesta di polizia, in una sorta di discesa nei segreti di una classe
dirigente che non ha ancora risolto il problema della propria ambiguità
culturale. Non direi che l’enigma sia impostato e risolto con lo
stesso rigore dei due primi romanzi, ma Si è suicidato il Che resta uno
dei gialli più interessanti della stagione e non potete certo permettervi
di perderlo. Anche perché, come dicono i greci, stessa faccia stessa
razza e in queste vicende balcaniche il lettore italiano non potrà fare
a meno percepire, come si dice, un vago sentore di déja vu.
Petros Markaris, Si è suicidato il Che (O Tse aftoktònise), tr. it. di Andrea Di Gregorio, Bompiani, pp. 422, € 17,00