Sensibilità legali

La caccia | Trasmessa il: 01/16/2011


    Forse dobbiamo tutti delle scuse, noi giornalisti, commentatori e pettegoli vari della sinistra, all'avvocato Niccolò Ghedini. Lo abbiamo sempre presentato come il tipico specialista in cavilli, uno di quei cinici legulei che pur di togliere dalle peste i loro assistiti sarebbero disposti ad arrampicarsi sul vetro. Non abbiamo mai pensato che un simile comportamento, probabilmente, gli costa più di quanto appaia. Che dietro la facciata dell'azzeccagarbugli possa nascondersi uno spirito delicato e un uomo sensibile.
    Pensate a certe sue dichiarazioni. Gli è capitato, a volte, di lasciarsi sfuggire di bocca dei commenti che solo a fatica si potevano considerare lusinghieri per il suo assistito. È stato lui, per esempio, a darne la celebre definizione di “utilizzatore finale” dei servizi della D'Addario, confermando, così, il tipo di rapporti che il noto statista intratteneva con colei. E quando, in altra occasione, l'onorevole Guzzanti parlò di certe scandalose intercettazioni in cui due collaboratrici politiche del Premier avrebbero rievocato tra di loro tutt'altro tipo di collaborazioni, smentì tutto, naturalmente, parlò di notizie destituite da ogni fondamento e minacciò fior di querele, ma osservò, di passaggio, che comunque quelle intercettazioni dovevano già essere state distrutte, confermando involontariamente in molti la sensazione che non si trattasse proprio di pure fantasie. E adesso, di fronte al prevedibilissimo riaccendersi in sede giudiziaria del caso Ruby, smentisce tutto di nuovo, e ci mancherebbe, ma aggiunge anche, in un comunicato congiunto con il collega Longo, che si tratta di una “gravissima intromissione nella vita privata del Presidente del Consiglio, che non ha precedenti nella storia giudiziaria del paese e dimostra l'insostenibilità della situazione nei rapporti con la magistratura”, che è – ammetterete – un ben strano argomento, perché indubbiamente un'inchiesta penale, con tanto di richiesta di interrogatorio e prospettiva di rinvio a giudizio immediato, rappresenta una intromissione nella vita privata di chicchessia, ma è giusto quel genere di intromissioni di cui proprio non si può fare a meno, specie se di mestiere si fa il magistrato. Essere accusato di qualcosa dà sempre fastidio, ma non puoi cavartela rispondendo al giudice che sono fatti tuoi.
    Una ipotesi che spiegherebbe queste strane defaillances potrebbe essere quella per cui l'onorevole avvocato provi, di fronte alle intemperanze del suo cliente, una certa perplessità, qualcosa di simile all'imbarazzo. Ciò non gli impedisce di difenderlo, ovviamente, perché, come persino noi profani abbiamo imparato da decenni di telefilm con Perry Mason, il diritto alla difesa è sacro per tutti, ma insinua nelle sue parole una certa incertezza, una vaga, ma percepibile, perplessità che ce lo rende un po' più simpatico. Perché se no dovremmo pensare che è convinto davvero che la vita privata di un utilizzatore finale sia sempre al di sopra della legge e questo sarebbe davvero un po' troppo, anche per lui.