Secchie d'oro

La caccia | Trasmessa il: 05/27/2012


    Secchie d'oro

    C'è uno strano titolo in prima pagina sul “Corriere della sera” di ieri. Non si tratta esattamente di un titolone, sono solo quattro colonne in taglio centrale, ma visto che è comunque in maggiore evidenza di quelli che annunciano dei fatti importanti quali la svolta presidenzialista di Berlusconi e l'arresto del maggiordomo del Papa, indica chiaramente quella che, per i capintesta di via Solferino, va considerata la notizia del giorno. Ci comunica, quel titolo, che d'ora in poi sarà “Premiato il merito a scuola”. È pronto, assicura l'occhiello, un “piano del governo per i più bravi”, che si concretizzerà, come specifica il sommario, in “Borse di studio, meno tasse, stage nelle aziende”.
    L'idea, a prima vista, sembra piuttosto buona. È meglio, a scuola come altrove, premiare il merito che non la fortuna, l'impudenza, o la posizione sociale, per citare tre delle caratteristiche che, in quella sede, di solito garantiscono i primi posti in classifica. Una scuola democratica è aperta per definizione ai capaci e ai meritevoli ed è giusto che costoro, ove si applichino nello studio e ne conseguano lodevoli risultati, siano, appunto, premiati. La virtù, notoriamente, è premio a se stessa, ma al merito non si disdice qualche incentivo. Ci voleva un governo come l'attuale, un governo composto prevalentemente da professori, per rendersene conto.
    Qualche perplessità si può presentare, se mai, in relazione al tipo di premio da proporre a quanti ne sono considerati degni. La ricompensa migliore, viene fatto da pensare, dovrebbe essere la buona preparazione che si riceve in cambio dei propri sforzi. Questo significa un impegno a concentrarsi sulla scuola stessa, nel senso di far trovare ai meritevoli una struttura nell'interno della quale le loro doti abbiano la maggiore possibilità di estrinsecarsi e la loro personalità meglio possa crescere. Non si premia il merito abbandonando l'istituzione scolastica a se stessa, lesinandole gli investimenti, mortificando i docenti che vi operano e penalizzando la loro carriera, Una scuola smandrappata e sciattona – del tipo, più o meno, di quella che ci ritroviamo – tende a deprimere, più che a esaltare, le caratteristiche di quanti, in un ruolo o nell'altro, vi sono inseriti.
    Hanno dunque deciso, il professor Monti e i suoi degni colleghi, un vasto piano di interventi e, magari, una seria riforma che liberi la scuola pubblica dalla camicia di forza cucitale addosso dalle varie Gelmini? Macché. Hanno stabilito semplicemente che gli studenti che, nella scuola così come è oggi, più si distinguono, riceveranno particolari onori e facilitazioni. Ogni scuola media superiore sceglierà il proprio “studente dell'anno” tra quelli che hanno superato la maturità con il massimo dei voti. Costoro avranno diritto a una borsa aggiuntiva per il primo anno degli studi superiori e alla riduzione del trenta per cento delle tasse universitarie. Potranno inoltre frequentare delle “master class” estive e avranno il proprio curriculum inserito sul sito del ministero, a disposizione – se tutto andrà bene – delle imprese in cerca di brillanti talenti, il che sarà certo una buona cosa, anche se i dati offerti alla valutazione non differiranno molto, tutto sommato, da quelli forniti dalle normali pagelle.
    Tutto qui? Sì, tutto qui. Almeno a giudicare dall'articolo del “Corriere”, la politica di valorizzazione del merito si ridurrà all'istituzione di una specie di onorificenza per il super primo della classe di ogni istituto. Una sorta di “premio secchia d'oro” da assegnare ai giovanotti che, oltre a ottenere la maturità con il massimo del punteggio (che è già, in sé, una distinzione non da poco) saranno
    giudicati più meritevoli degli altri. Da chi e in base a quali criteri non si dice. Come non si dice quale sarà la funzione nella comunità scolastica di questi supereroi dello studio, che sarà presumibilmente quella di fungere da modello e da oggetto di emulazione, scatenando in ogni istituto una forma di competitività da cui, evidentemente, il governo si aspetta ogni sorta di vantaggi.
    Niente di particolarmente esaltante per chi, come me, non ha mai avuto una particolare simpatia per la figura del primo della classe, e si è sempre sforzato, nella attività dell'insegnamento, di portare tutti gli alunni al massimo dei risultati, facendoli interagire gli uni con gli altri e impostando il lavoro di classe come una forma di cooperazione. È cooperando tra loro, d'altronde, che gli esseri umani, in ogni campo di attività, realizzano le proprie mete. La competizione troppo accentuata, in questa prospettiva, è spesso più dannosa che utile, spinge a utilizzare più energie per devalorizzare gli altri di quante servono per valorizzare se stessi, accentua le tendenze all'individualismo e all'autoreferenzialità. Il suo quadro di riferimento è quella “guerra di tutti contro tutti” che, tra le varie possibili impostazioni del consorzio umano, è certo la più deprimente.
    D'altronde sono questi i valori che esibisce l'egoismo sociale imperante e sarebbe vano aspettarsi che un governo come questo proponga qualcosa d'altro. Sono dei primi della classe anche loro e dai primi della classe non ci si può aspettare un vero interesse per i progressi degli altri.