Scogli, patelle e leggi elettorali

La caccia | Trasmessa il: 10/16/2005



Magari non lo diciamo a voce troppo alta, perché, come dice il saggio, c’è un tempo per ogni cosa, ma sotto sotto sappiamo benissimo tutti perché il centro sinistra sia, come dire, sotto scacco in tema di legge elettorale, nel senso che, dopo averle prese di santa ragione alla Camera si appresta a fare il bis al Senato, con tutte le conseguenze in termini di immagine e di mantenimento del consenso che una doppia bastonatura di questo genere comporta.  Se si è imposta con tanta perentorietà e contro tutte le previsioni la dura legge dei numeri non è solo colpa di Berlusconi, che pure ha proposto questa specie di colpo di mano parlamentare per motivi squisitamente di parte, né della pusillanimità dell’uomo del Quirinale, sulle cui capacità di reazione è sempre più futile sperare, né del come ha condotto dibattito e votazioni un presidente dell’assemblea celebrato fino a ieri per la sua imparzialità (e chissà cosa riuscirà a combinare il suo collega alla Camera alta, che della imparzialità ha sempre dimostrato di saper fare benissimo a meno).  Sono tutti elementi che contano, naturalmente, e forniscono preziosi elementi di giudizio sui personaggi in questione, ma il problema, credetemi, non è questo.  

Dopo tutto, cosa pensare di quei signori lo sapevamo già.  Ma se nessuno è riuscito a organizzare una difesa credibile del sistema maggioritario, come è regolato dalla legge ancora (per poco) vigente, dipende in buona parte dal fatto che quel sistema, in quella forma, è abbastanza indifendibile.  Quel farraginoso meccanismo misto, con le sue due schede alla Camera più una al Senato, i doppi simboli dei partiti e delle coalizioni, lo scorporo (che forse voi avrete capito esattamente cos’è, ma io no), le liste civetta, che sono riuscite a far sì che per questa legislatura i ranghi della Camera restassero scandalosamente incompleti, e tutto il resto, sembrava fatto apposta per deformare l’espressione della volontà degli elettori e, di fatto, l’ha abbondantemente deformata nelle tre occasioni in cui ce ne siamo serviti, nel ’94, nel ’96 e nel 2001.  

Tutti i sistemi elettorali, naturalmente, devono mediare tra le esigenze della rappresentanza e quelle della governabilità (per usare un termine antipatico, ma di moda), ma, a parte il fatto che i due valori, in un sistema democratico, non possono porsi sullo stesso piano, il nostro riusciva a metterli in crisi entrambi, abbinando un parlamento assai poco rappresentativo a un governo che, quanto a funzionalità, non fa certo faville.  Lo si è visto con particolare chiarezza in questo ultimo quinquennio e il fatto che, per qualche fortuita combinazione di eventi, quel meccanismo perverso potesse, per una volta, agire a favore della sinistra, che infatti ci aveva calibrato sopra tutta la sua strategia, non era e non è un buon motivo per attaccarcisi con la tenacia della patella allo scoglio.

Questo non significa, ovviamente, che bisognasse ingoiare senza fiatare la legge che Berlusconi e Casini ci hanno propinato.  Quella è chiaramente una truffa e ha tutta l’aria di poter produrre, se applicata, effetti ancora più perversi.   Ma se di fronte all’offensiva della destra ci si fosse sforzati di controproporre un proporzionale decente o un maggioritario un po’ meno penoso, i risultati – chissà – avrebbero potuto essere diversi.  Opporre a una prepotenza manifesta la mera speranza di qualche defezione nell’area avversaria è una tecnica che ricorda molto il suicidio e in fondo si sa che dallo scoglio le patelle corrono il rischio di finire direttamente in pentola.

Ah, a proposito.  Di tutti gli argomenti a favore del mantenimento della vecchia legge e, in genere, del sistema maggioritario, l’unico – a mio avviso – che non meriti di essere scartato a priori è quello per cui quel sistema l’hanno voluto i cittadini con il referendum del 1994.  Oh dio, anche su questo, volendo, si potrebbe ridire, perché quel voto era stato impostato e interpretato in maniera impropria ed estensiva, trasformando un normale referendum abrogativo di alcuni articoli di legge in una specie di consultazione propositiva di massa che la nostra Costituzione non prevede affatto.  Tuttavia, agli italiani era stato fatto credere che fosse in gioco la scelta tra il proporzionale e il maggioritario e in tal senso essi si erano regolati.  Il fatto è che della volontà dei cittadini, in certi ambienti (e non solo nel centro destra) importa veramente poco.   Lo si è visto quando si è trattato di ripristinare questo o quel ministero soppresso o di reintrodurre, con la massima disinvoltura, il finanziamento pubblico dei partiti.  Ahimè, visto che anche questo gli abbiamo lasciato passare, non possiamo che prendercela con noi stessi.

16.10.’05