La signora Ramotswe, fondatrice
e dirigente della Ladies' Detective Agency N. 1 di Gaborone, Botswana,
cresce di statura narrativa di romanzo in romanzo. Non tanto perché
la sua agenzia, grazie ai suoi sforzi e a quelli della signorina Makutsi,
assistente e segretaria, per non dire del signor Polopetsi, recentemente
assunto in condominio con l'officina meccanica del signor Matekoni, debba
risolvere casi sempre più importanti e prestigiosi. Anche in questo
Scarpe azzurre e felicità, in effetti, i problemi che vengono
sottoposti all'ineffabile trio sono di natura abbastanza modesta e casalinga:
un medico che fa la cresta sulle ricette, la cuoca di un college
che, a quanto sembra, tiene da parte per il marito i bocconi più ghiotti,
qualcuno che, chissà come, se ne è accorto e la ricatta, un maldefinito
clima di disagio tra i dipendenti della riserva di Mokolodi... nulla
che quella potente organizzazione non possa affrontare e risolvere agevolmente.
Anche la vita quotidiana dei personaggi scorre come sempre: la signorina
Makutsi ha qualche difficoltà a gestire il proprio, recente fidanzamento
e vorrebbe comperarsi un paio di scarpe azzurre con i tacchi che sono manifestamente
troppo piccole per le sue estremità; il signor Matekoni non riesce a decidersi
riguardo all'acquisto di una poltrona nuova, nel senso che ha un po' paura
di cosa ne direbbe la moglie; i due apprendisti dell'officina sono sempre
più indolenti e scioperati e quando trovano un cobra in ufficio cercano
di eliminarlo tirandogli addosso delle chiavi inglesi, cosa che nessuna
persona di buonsenso, si capisce, farebbe mai. Insomma, tutto regolare.
L'unica novità degna di questo nome è rappresentata dal fatto che
la protagonista, che pure si sente del tutto a suo agio con la sua “corporatura
africana tradizionale”, ha deciso di mettersi a dieta e soffre, naturalmente,
di tutti i mali che una tale decisione comporta. Ma questo, come
dicevamo, non le impedisce di crescere come personaggio: ormai è giunta
a incarnare la coscienza critica di tutta la sua comunità, anzi, in un
certo senso, di tutto il Botswana, quella sorta di frammento idilliaco
dell'Africa australe che Alexander McCall Smith, che deve amare molto
quei luoghi, anche se oggi vive in Scozia, descrive romanzo dopo romanzo
con sempre maggiore compartecipazione emotiva. Il Botswana, sembrano
dirci autore e personaggi, non sarà niente di speciale in sé, ma è un
posto tranquillo e ragionevole, in netto contrasto con la miseria e la
confusione di quasi tutto il resto del continente, nel quale brilla come
una luce di, pur sommessa, speranza. La signora Ramotswe lo sa benissimo
e non cessa mai di agire, nei suoi limiti, perché le cose continuino ad
andare così. E l'autore contribuisce con una scrittura sempre più
godibile, un gusto sottile per una quotidianità appena appena velata di
esotico (certe volte sembra più esotica la Edimburgo di Isabel Dalhousie)
e persino una vena sottile di poesia. Insomma, di tutti i romanzi
della serie, questo è probabilmente il migliore, voi sapete già che non
bisogna lasciarsi scoraggiare dagli strilli di copertina sulla “Miss Marple
africana” e simili e, datemi retta, non lasciatevelo scappare.
04.02.'08
Alexander McCall Smith, Scarpe azzurre e felicità (Blue Shoes and Happiness), tr. it. di Stefania Bertola, "Narratori della Fenice" - Guanda, pp. 249, € 14,50