La Gran Bretagna, almeno da un punto
di vista storico letterario, è il paese degli investigatori privati e dei
poliziotti dilettanti, ma da qualche decennio la sua produzione di gialli
è solidamente ancorata al modello del procedural, alla descrizione quanto
più realistica possibile delle effettive procedure di polizia, con una
preferenza particolare per le ambientazioni extralondinesi, nella provincia
industriale del paese, dove le contraddizioni e le miserie del modo di
vivere contemporaneo non sono nascoste dal frastuono e dal luccichio della
capitale, per cui risultano, in qualche modo, più visibili e più dolorose.
Questa tradizione, che forse si è espressa al meglio in scrittori
come Ruth Rendell e Ian Rankin (ma non è da sottovalutare neanche l’opera
di Colin Dexter, nonostante l’impostazione così platealmente anticonvenzionale
che la caratterizza) si ritrova alla base dei romanzi di John Harvey, un
autore, per quanto ne so, nuovo per l’Italia, anche se dai risvolti si
apprende che una sua serie di thriller imperniati su un certo tenente della
polizia di Nottingham, è popolare da anni tra i lettori di lingua inglese.
Con Sangue del mio sangue, comunque, Harvey dà vita a un nuovo personaggio,
sempre riconducibile a quel prototipo di lontana origine maigrettiana dell’investigatore
“dal volto umano”, che domina le storie degli autori che abbiamo citato.
Frank Elder, ispettore dell’Investigativa, ha mollato tutto dopo
essere stato abbandonato dalla moglie, vive ritirato in Cornovaglia, ma
è ossessionato dal ricordo dell’ultimo caso cui ha lavorato, un’adolescente
rapita, seviziata e uccisa da due balordi, e da quello di un’altra ragazzina
scomparsa di cui non è mai riuscito a ritrovare le tracce. Per
cui, quando uno dei colpevoli del primo delitto esce in libertà vigilata,
finirà per rimettersi a indagare, da solo o in collegamento con i vecchi
colleghi, a rischio di esporre al pericolo, oltre se stesso, la figlia
che ha appena ritrovato. In parallelo, Harvey ci racconta la storia
dell’impossibile tentativo dell’ex detenuto di sfuggire al suo destino
di vittima sociale e perdente per definizione. Nulla di particolarmente
originale, come vedete, ma raccontato con straordinaria intensità e capacità
di coinvolgere: quello di Elder è un bel personaggio, un uomo deluso e
tormentato dal rancore, che però cerca di mantenersi in qualche modo in
pista e sa ancora mettere a frutto la sua solida professionalità, e la
descrizione della provincia inglese (siamo, per la precisione, sulla fascia
costiera della Yorkshire), con i suoi proletari incattiviti e i suoi piccoli
borghesi antipatici è fatta con grande finezza. Harvey non è un
autore che calca le tinte, ma riesce lo stesso a far percepire ai lettori
la precarietà degli equilibri quotidiani in cui viviamo tutti, la facilità
con cui la vita di chiunque, della più normale e banale delle persone,
può trasformarsi, da un momento all’altro, in tragedia. Quella
di Sangue del mio sangue può essere una lettura piuttosto inquietante,
ma chi non cerca nei gialli l’evasione pura non avrà da dolersene.
13.11.’06
John Harvey, Sangue del mio sangue (Flesh and Blood), tr. it. di Giuseppe Mainolfi, "Scrittori stranieri" – Cairo Editore, pp. 397, € 17,00