Non so se in un altro paese che non l’Italia si potrebbe
sentir affermare che un esponente di spicco della maggioranza “ha ceduto”
(o, come preferisce, “il manifesto”, “si è arreso”) alle pressioni
del capo del governo, assumendo la vice-presidenza del Consiglio dei ministri.
Sono verbi, quelli, che più che alle vicende della politica fanno
pensare alle peripezie dell’eroina di un romanzo dell’Ottocento, di quelle
che dovevano sempre fare forza a se stesse prima di accettare, con il cuore
in gola, le profferte di un innamorato impaziente, un ruolo che non so
a voi, ma a me poco sembra addirsi all’onorevole Follini, che, in fondo,
è uno di quegli ex democristiani sulla cui avidità di poltrone nessuno
ha mai avuto motivo di dubitare. Ma l’Italia, dal punto di vista
della comunicazione, è diventata un paese peculiare. È quello in
cui un Berlusconi si vanta di aver tagliato le tasse nel mentre fa salire
la pressione fiscale (e finge di stupirsi se contro tagli siffatti poi
si sciopera) e un Buttiglione si lamenta di essere discriminato perché
da noi il cristianesimo, si sa, è oggetto di persecuzione peggio che sotto
Nerone. È il paese delle facce di bronzo e dell’impudenza eletta
a sistema, la terra in cui chiunque goda di un minimo di potere può permettersi
di raccontare le più straordinarie panzane nella certezza che nessuno avrà
né il coraggio né il modo di rispondergli per le rime e in cui, dunque,
si può far credere tranquillamente che Follini abbia assunto la carica
di vicesilvio perché proprio non ha potuto farne a meno.
Così, purtroppo, va
il mondo. Ma rallegriamoci, almeno, al pensiero che l’irresistibile
ascesa del vecchio doroteo dovrebbe por fine a uno dei più indecorosi giochi
delle parti cui da tempo ci sia capitato di assistere. È dallo scorso
giugno che l’opposizione fa conto sulle capacità di resistere di Follini.
Che di fronte ai propositi sempre più burbanzosi del silvio in carica,
alle minacce di mandare al macero i vincoli europei, di eliminare la par
condicio, di farsi confezionare una legge elettorale su misura e di restaurare,
se necessario, la monarchia, spera quasi esclusivamente nell’aurea moderazione
del segretario dell’UDC (oltre che in quella di Fini, che, per un residuo
pudore, non si può dire), senza lasciarsi impressionare se alla prova dei
fatti tali speranze si sono via via rivelate ancora più patetiche e vane
di quelle riposte nel Presidente Ciampi. Che questo significhi delegare
a qualcuno del campo avverso il compito di fare il proprio mestiere ai
leader dell’Ulivo, della GAD o di come la volete chiamare non è venuto
in mente mai. Né avevano, in verità, molte altre vie aperte davanti:
costituzionalmente incapaci di opporsi davvero a qualcosa, assuefatti alla
droga dei compromessi e delle mediazioni, troppo occupati a tagliarsi l’erba
sotto i piedi l’un l’altro e a cercare un candidato le cui probabilità
di soccombere nel conflitto lombardo con il pio Formigoni fossero, non
che matematiche, assolute, non potevano che sperare che qualcuno gli cavasse,
come si dice, le castagne dal fuoco. Con il risultato che tutto il
dibattito degli ultimi mesi, quello sulla finanziaria e sulla pseudo riforma
fiscale, invece che svolgersi, come dovrebbe essere d’uso nelle democrazie
liberali, tra le forze di governo e quelle di opposizione si è svolto,
l’avrete notato anche voi, tra il governo e se stesso.
E adesso che quell’inaffidabile di Follini, ahimè, sta
a palazzo Chigi, non si sa a chi affidarsi per il futuro. L’unica
possibilità, in definitiva, resta quella di Berlusconi, che, si è visto,
riesce benissimo a fare l’opposizione ai suoi stessi ministri. Non
sarebbe la prima volta, d’altronde, che la sinistra confida più nell’Uomo
di Arcore che in se stessa. Lui, almeno, di ritrosie non ne ha mai
avute.
05.12.’04