Risoluzioni doppie

La caccia | Trasmessa il: 05/23/1999



Dunque, cerchiamo di capire.  Il Parlamento italiano, spinto, come sempre, dalla incoercibile vocazione alla pace della sua maggioranza, ha votato, mercoledì scorso, una mozione che, oltre ad approvare l’azione che il governo, a quanto pare, stava “svolgendo per una soluzione politica del conflitto” (un’azione che a me, vi confesso, era totalmente sfuggita), chiedeva al governo stesso di “sviluppare con la massima rapidità presso gli alleati della NATO e nelle sedi internazionali un’iniziativa volta alla approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di una risoluzione sul Kossovo contenente i punti indicati nella riunione del G8” e specificava come per favorire un tal esito fosse necessaria “una sospensione dei bombardamenti”.  Benissimo.  È vero che subito dopo si rispecificava  che tale sospensione doveva esser volta “a consentire la convocazione del Consiglio di Sicurezza sulla base di una risoluzione e a verificare la disponibilità del Governo Jugoslavo ad applicarla”, il che complicava alquanto tutta la faccenda, perché una cosa è chiedere di smetterla per un po’ con i raid con il fine di trovare, nelle sedi opportune, una soluzione su cui concordino tutti, e un’altra è proporre di adire le sedi opportune solo dopo aver già trovato, evidentemente altrove, una proposta in base alla quale far cessare i raid, ma insomma.  La politica è la politica e si basa notoriamente sul compromesso: quel testo era stato formulato dopo lunghe e penose trattative, era stato modificato in extremis su richiesta del governo, introducendovi la seconda specificazione, e su di esso la maggioranza ha votato compatta.  Anzi, sulla seconda parte ha votato a favore persino Rifondazione. Pur a prezzo di qualche ambiguità, il termine “sospensione dei bombardamenti” compariva per la prima volta in una delibera del Parlamento italiano.  Un successo della volontà di pace e della capacità di dialogo.
        Soltanto due giorni dopo si riusciva a scoprire, non senza qualche fatica, visto che l’impaginazione dei quotidiani era ovviamente sconvolta dalla notizia dell’omicidio rivendicato dalle misteriosamente ricomparse Brigate Rosse, che a quell’ambiguità il governo italiano non ha ritenuto necessario sottomettersi.  D’Alema si è presentato a Bruxelles per spiegare che la proposta italiana era quella di sospendere i bombardamenti, sì, ma quando “ci sarà un testo concordato con russi e cinesi per un voto all’ONU” e reclamando da Belgrado una risposta immediata (”diciamo entro settantadue ore”) pena la ripresa dell’offensiva e questa volta anche per via di terra. Una clausola, quest’ultima, che significava la volontà di fare la faccia feroce senza alcun vero motivo, perché, visto che russi e cinesi, come tutti sanno, sono disposti a concordare un testo solo quando su di esso si avrà l’adesione della Jugoslavia e l’impegno degli occidentali ad accettarlo, la proposta finale dell’Italia si riduceva, a quel punto, al suggerimento di smettere i raid quando si sarà raggiunto un accordo, che è più o meno le stesso che dire che la pace verrà quando la guerra sarà finita.   Per cui la signora Allbright e i suoi portavoce non hanno avuto il minimo scrupolo di ribattere seduta stante che di una tregua, di settantadue, di quarantotto o di ventiquattro ore, non si parla nemmeno, e il segretario Solana ha potuto dichiarare, senza tema di complicazioni, che “la proposta italiana non è in contraddizione con le idee su cui la NATO ha lavorato fin dall’inizio.”  E siccome la NATO, più che sulle idee, lavora sui bersagli, i bombardamenti sono continuati più feroci che mai, con quell’accentuata tendenza a colpire “per sbaglio” i più svariati obiettivi civili e a moltiplicare i relativi “danni collaterali” che l’aviazione alleata dimostra ogni volta che qualcuno si azzarda, con maggiore o minore serietà, a parlare di tregua.  Sarà un caso, ma dopo la visita di D’Alema a Bruxelles sono state colpite una clinica neurologica, una prigione e tre, dicesi tre, sedi diplomatiche.
        In tutto questo, naturalmente, non c’è niente di strano.  D’Alema ha fatto il suo mestiere e la NATO anche.  Certo, il fatto che la nostra Camera dei Deputati abbia votato (e il nostro governo abbia fatto propria) una mozione, per così dire, à double face, una mozione che da una parte chiedeva la tregua e dall’altra la subordinava a una condizione praticamente impossibile da realizzarsi, potrebbe, dal punto di vista del rigore parlamentare, aprire il fianco a qualche sommessa critica, ma che volete che sia?  I nostri parlamentari con il rigore non hanno mai avuto a che fare più di tanto: hanno, nello specifico, il problema, ben più concreto, di esibire – da un lato – una qualche volontà di pace, a uso di un elettorato che, in nome delle pur lontane motivazioni di sinistra che lo tengono insieme, non ha ancora digerito del tutto la tecnica di imporre la democrazia etnica a base di raid aerei, e di non far mancare – dall’altro – il loro appoggio a un governo che non ha né la pretesa né la capacità sottrarsi alla propria sudditanza internazionale.  Con la mozione di mercoledì sono tutti contenti: nessuno potrà accusarli di non aver chiesto la fine dei bombardamenti (c’è scritto, nero su bianco) e nessuno potrà imputar loro di aver messo in discussione la volontà di chi, in simili faccende, comanda davvero.  E poi, se saremo bravi, la NATO ha persino promesso di darci una mano a rastrellare qualche po’ di bombe dall’Adriatico: cosa vogliamo di più?

23.05.’99