Chissà perché quando il buon Prodi,
in uno di quei sussulti di buon senso che lo rendono, nonostante tutto,
simpatico, ammonisce che l’Italia, quanto al rischio di disordini a sfondo
etnico, non è poi tanto lontana dalla Francia e che perché scoppi anche
qui qualche grosso casino è solo questione di tempo, tutti gli danno del
matto o del mestatore, mentre se le stesse cose le dice il ministro Pisanu,
secondo cui, testuale, i roghi delle banlieues francesi “potranno
essere un problema su cui avranno da piangere anche le periferie italiane”,
lo subissano di applausi e l’on. Violante lo ringrazia per la risposta
“positiva, seria e civile”. Certo, la destra è la destra e dalle
bassezze non si è mai astenuta: “Panorama” ha persino pubblicato una
vignetta del simpatico Forattini in cui il poveraccio – Prodi, dico –
è raffigurato mentre brandisce con una mano una bandiera rossa con falce
e martello e con l’altra una bottiglia incendiaria, e chissà cosa farebbe
se non venisse stoppato da un Berlusconi ammantato nel tricolore, e ammetterete
che più in basso di così è difficile. Ma gli altri? Come si
spiegano le prese di distanza, i distinguo, i commenti infastiditi con
cui i leader del centro sinistra, da Fassino a D’Alema a Rutelli,
hanno fatto capire che loro su quell’ammonimento avevano le più ampie
riserve? Sì, deve esserci entrata in qualche modo la volontà di non
esprimere dubbi sulla capacità dei vari Veltroni, Penati e compagnia
bella di gestire le aree urbane a rischio, ma questo non basta a spiegare
la solerzia con cui sono state prese per buone le parole di un ministro
che, nello stesso intervento alla Camera, ha spiegato che a Lampedusa,
a parte qualche disagio, va tutto bene e che, in materia, il governo
ha “molto da discutere, poco da rimproverarsi e ancor meno da nascondere”.
Il fatto
è che Prodi poneva, da candidato, un problema politico, mentre Pisanu,
da ministro, si è limitato a una serie di proposte amministrative. Assolto
a priori il governo, ha intrattenuto gli onorevoli deputati sulla
necessità di ristrutturare i CPT, aprirne di nuovi, governare gli accessi,
rafforzare i controlli e via andare. E la sinistra, si sa, adora
le soluzioni amministrative e farebbe (quasi) qualsiasi cosa per
gli uomini che le portano avanti. Lo si è visto con il colpo
di genio (…) con cui ha risolto l’annoso problema del candidato sindaco
a Milano. Di fronte a un intervento tutto concretezza e buona volontà
operativa come quello del ministro degli interni, non saranno mancati,
giovedì scorso, gli esponenti dei DS e della Margherita portati a rammaricarsi
in cuor loro del fatto che ormai non si può proprio più rispedire Prodi
a Bruxelles e candidare, al suo posto, Pisanu.
Perché sul
problema politico dell’immigrazione non è che in quell’area le idee siano
proprio tanto chiare. In Italia non abbiamo le concentrazioni di
stranieri che caratterizzano, tra gli altri paesi, la Francia, ma non abbiamo
neanche i suoi servizi sociali, la sua organizzazione del territorio e
la sua tradizione di accoglienza. Ci tocca, in compenso, una legge
(la Bossi-Fini) studiata apposta per sfruttare la forza lavoro altrui concedendo
il meno possibile in termini di integrazione, onde il ferreo collegamento
tra condizione lavorativa e permesso di soggiorno, le difficoltà opposte
ai ricongiungimenti, gli screening periodici e tutto il resto, per
non dire dell’ottusa ostilità ai tentativi di auto-organizzazione che
emerge da episodi come quello della scuola islamica di Milano. Perché
tra le molte cose che il governo nasconde e dovrebbe – in effetti – rimproverarsi,
c’è la sorda acquiescenza al razzismo di fondo della nostra società. Sul
che anche a sinistra dovremmo chiederci se proprio qualcosa da rimproverarci
non abbiamo.