Rischi e vantaggi

La caccia | Trasmessa il: 03/20/2011


    In Agente 007 missione Goldfinger (Goldfinger, 1959), di Ian Fleming, a un certo punto l'arcicriminale che si contrappone fin dal titolo a James Bond illustra i propri piani al gruppo di gangster che ha assoldato perché collaborino con lui nel progetto di rapinare l'intera riserva aurea degli Stati Uniti, contenuta nel deposito di Fort Knox. Il problema principale, spiega, è di natura logistica e consiste nel trasporto del bottino: il resto è cosa da ragazzi. Per entrare nella fortezza, per esempio, basterà far saltare la porta e visto che al mondo esiste soltanto un'arma in grado di aver ragione di quella blindatura, lui se l'è già procurata: una testata nucleare studiata per i missili intercontinentali di gittata intermedia. In sostanza una bomba atomica.
    Ciusca, ribattono i gangster, ma non è pericoloso? Ma no, ribatte Goldfinger. Per evitare le schegge, i pezzi di cemento armato e di metallo, basterà ripararsi dietro la palizzata di acciaio del deposito. Quanto al rischio di contaminazione, la pioggia radioattiva sarà di portata minima, essendo l'ordigno di ultima generazione, una cosiddetta bomba “pulita”, e basterà fornire delle tute di protezione a quanti entreranno per primi nell'edificio. Tutti gli uomini, d'altronde, porteranno dei tappi alle orecchie. “Forse” conclude Goldfinger “alcuni automezzi saranno danneggiati, ma dobbiamo correre questo rischio”. E, dopo breve dibattito, la proposta viene accettata, con gli esiti che ben conosce chi ha letto quello straordinario romanzo (non basta aver visto il film di Guy Hamilton del 1964, che ne rappresenta una versione infedele e pasticciata). Agli altri basterà dire che tutto filerebbe alla perfezione, se solo Goldfinger non avesse commesso l'errore di permettere che alla riunione assistesse, in incognito, l'agente 007.
    Fleming, naturalmente, non era uno scienziato, né lo era il suo personaggio, ed entrambi potevano permettersi un certo grado di inverosimiglianza. Da quando ho letto quel libro, comunque, quel passaggio mi è sempre sembrato la più straordinaria sottovalutazione che si potesse immaginare dei rischi connessi alla tecnologia nucleare, di pace o di guerra. E tale ho continuato a considerarlo fino alla settimana scorsa. Poi ho cambiato idea, perché, sicuramente, il governo italiano, di fronte agli interrogativi suscitati dalla catastrofe di Fukushima, ha dimostrato una disinvoltura da far impallidire Goldfinger. C'è voluta tutta una settimana, di fatto, perché qualcuno, in quell'augusta compagine, si accorgesse, pur di fronte a quel terribile esempio, dei rischi impliciti nella proposta, così entusiasticamente sostenuta, di reintrodurre anche in Italia quella tecnologia.
    Così, lunedì 14 marzo, quattro giorni dopo le prime notizie sul cedimento della struttura della centrale, il governo è, sì, preoccupato, ma solo per le possibili ricadute sul referendum previsto in materia. Per la ministra Prestigiacomo, responsabile (!) dell'Ambiente, “i piani sul nucleare non cambiano. Andremo avanti consapevoli che abbiamo contemplato tutte le più avanzate legislature dei Paesi che hanno il nucleare. Vogliamo evitare che su una tragedia immane si pensi a fare macabre speculazioni”. Per il ministro Brunetta “calma e gesso. La scelta non muta, il governo va avanti”. Secondo Fabrizio Cicchitto, “la nostra posizione è quella che è”. E a dire di Maurizio Sacconi, “guai a noi se di fronte a eventi straordinari ci fermassimo sulla strada del nucleare.” Anche secondo il responsabile dello Sviluppo economico, Paolo Romani, è “inimmaginabile tornare indietro”.
    Il giorno dopo, tuttavia, i giornali annunciano che “i sondaggi preoccupano il premier” e qualche passetto all'indietro si comincia a farlo. La Prestigiacomo spiega che il governo non è né cieco né sordo” rispetto alle preoccupazioni dei cittadini e “mette ai primi posti la salute” (e avrei voluto vederla affermare il contrario). Tuttavia, al sottosegretario Saglia, che cerca di metterci una pezza spiegando che comunque non si costruiranno centrali senza il placet delle regioni interessate (che si sono dichiarate tutte contrarie), l'indeflettibile Romani risponde che quelle parole sono “inopportune” e le possibilità sono tutte aperte. Solo il giorno dopo, quando persino Chicco Testa scriverà sul “Corriere” che, forse, è il caso di concedersi una pausa di riflessione, lo stesso Romani si accoderà, dichiarando che bisogna, appunto, pensarci. E su questo, mentre le notizie dal Giappone si fanno sempre più spaventose, siamo fermi al momento. Il mondo intero blocca programmi e chiude centrali e il governo italiano, se pure a malincuore, ci pensa.
    Scampato pericolo, dunque, almeno in Italia? Mica tanto, se diamo una ulteriore occhiata alle dichiarazioni di quegli ineffabili personaggi. La Prestigiacomo continua a “non farsi dominare dall'emozione”, ma si rende contro che “non possiamo rischiare le elezioni per il nucleare”, per cui usciamone in maniera soft e ci ripensiamo tra un mese. Paolo Romani insiste nel dichiararsi “nuclearista convinto”, ma viste le notizie che arrivano è disposto “a fermarsi per capire cosa stiamo facendo” (il che fa supporre che finora non lo sapesse). Anche Umberto Veronesi, resta “convinto che il mondo non possa fare a meno del nucleare”, ma viste le “paure ataviche” e le “visioni apocalittiche risvegliate dai fatti nipponici” riconosce, bontà sua, che è ora “di porsi degli interrogativi”, nel senso, beninteso, di “riflettere se sia meglio avere pochi impianti di grande taglia o una rete di minireattori”. E sulla stampa favorevole al governo (che comprende, per l'occasione, il “Corriere della sera”), si moltiplicano gli articoli che danno un colpo al cerchio del non lasciamoci spaventare e delle circostanze eccezionali e la botte della pausa di riflessione. Il senso che il lettore può evincere è che tutti costoro sono disposti a lasciare che passi la tempesta e si plachi l'emozione, nella prospettiva di ricominciare tra breve.
    Ecco. Non vorrei insistere su un paragone improprio, ma tutto ciò è discretamente criminale. Le circostanze eccezionali sono, appunto, eccezionali e non si possono prevedere, ma questo non significa che il rischio che si verifichino sia affatto trascurabile. Metterlo nel conto è un dovere per tutti. E farsi spaventare da quello che sta succedendo in Giappone non significa cedere all'emotività, ma usare semplicemente il buonsenso. Il calcolo costi benefici cui tutta la lobby nuclearista sta dedicandosi con entusiasmo, in genere minimizzando i costi ed enfatizzando i benefici, deve tener conto della possibilità dell'apocalisse. D'altronde, come ricordava opportunamente Guido Viale sul “Manifesto” di giovedì, “apocalisse” vuol dire “rivelazione” e se c'è una cosa che l'apocalisse giapponese ha rivelato è come i conti che circolavano in materia fino a una settimana fa siano clamorosamente truccati. Provate a rifare il calcolo dei costi della produzione di energia nucleare includendoci quelli delle conseguenze dell' “incidente” (soccorsi, sgomberi, blocco delle attività economiche, bonifica ambientale, assistenza alle vittime) e vedrete cosa resta della sua presunta economicità.
    A tutto questo i Goldfinger di questo mondo notoriamente non pensano. Sono troppo concentrati sulla prospettiva del loro bottino per preoccuparsi di vittime e costi umani e appunto per questo li consideriamo dei criminali. I politici responsabili delle scelte energetiche appartengono, ovviamente, a un'altra categoria. Almeno speriamo.
20.03.'11

    Nota

    Il brano citato da Goldfinger si trova a pagina 142-143 della prima edizione italiana (“Gialli Garzanti” n. 15, Milano 1964).