Razzismo fiscale

La caccia | Trasmessa il: 01/08/2012


    Razzismo fiscale

    Le tasse non sono mai particolarmente simpatiche, ma di certi tributi la storia ricorda la particolare odiosità. Così nell'antichità e – soprattutto – nel medioevo suscitava particolare ripulsione il cosiddetto “testatico”, il tributo imposto per testa, su ogni individuo membro di una particolare comunità, a prescindere da qualsiasi considerazione sul reddito di cui disponeva e sulle sue capacità contributive. Questa forma di tassazione, utilizzata (con una certa parsimonia) già sotto l'impero romano, i cui cittadini tuttavia ne erano spesso esentati per liberalità imperiale, ebbe un notevole sviluppo nei secoli successivi e il malcontento che provocava suscitò talvolta grandi rivolte, come quella scoppiata in Inghilterra nel 1381, quando, regnando Riccardo II, per finanziare le spese delle guerre di Francia la si impose, con il nome di “poll tax”, a tutti i sudditi di età superiore ai quindici anni. In età contemporanea, in Italia, si ricorda la “tassa sul macinato”, come fu comunemente definita l'imposta sulla macinazione dei cereali, voluta dai governi della cosiddetta destra storica per rinsanguare le casse pubbliche, che mal avevano retto al colpo dell'unificazione nazionale. Inventata da Luigi Menabrea nel 1868, suscitò anch'essa tumulti e rivolte, prontamente repressi a cannonate dal benemerito generale Raffaele Cadorna, fu perfezionata e inasprita da Quintino Sella, che essendo, diremmo noi, un “tecnico” (era professore universitario) non si poneva troppi problemi di consenso e se questo ci ricorda qualcosa non è colpa mia, e nonostante le polemiche che aspramente divisero l'opinione pubblica (si parlò di “tassa sulla miseria”, visto che a vivere soprattutto di farinacei erano i ceti più bassi, e il Carducci coniò la celebre definizione di “tassa sulla fame”), restò in vigore anche dopo che al governo nel 1876 andò la sinistra. Sarebbe stata abolita, dopo lunghe esitazioni, dal secondo governo Depretis, nel 1884.
    A combinare gli effetti perversi della poll tax e della tassa sulla miseria, come a dire di una imposizione indifferenziata sulle persone e di un prelievo appositamente studiato per gravare sugli strati diseredati della popolazione, giunge adesso, nel nostro felice paese, la tassa che ogni straniero residente dovrà pagare per ottenere il permesso di soggiorno. La proposta relativa, elaborata ai tempi del centrodestra dalla Lega, che la fece inserire nel pacchetto di sicurezza del 2009, è stata introdotta in via definitiva nella legislazione con un decreto congiunto Maroni – Tremonti del 6 ottobre scorso ed è stata mantenuta tal quale dal governo Monti, che solo in questi giorni, dopo le denunce di un paio di quotidiani, ha espresso l'intenzione non di abolirla, ci mancherebbe, e neanche di ridurla, ma di “rimodularla”, un termine che non si capisce bene cosa significhi ma non fa presagire nulla di buono. Staremo a vedere, naturalmente: a tutt'oggi, il balzello, la cui entrata in vigore è prevista per la fine del mese, dovrebbe comportare per gli interessati l'esborso di una cifra variabile tra gli 80 e i 200 euro, a seconda del tipo di permesso richiesto, da aggiungere ai 70 di spese fisse che già si pagano adesso. Il ricavo sarà impiegato al cinquanta per cento per finanziare i rimpatri – cioè le espulsioni – mentre l'altra metà andrà al ministero degli Interni per coprire le spese di ordine pubblico e sicurezza legate all'immigrazione.
    Un bell'esempio, nel complesso, di razzismo fiscale: una tassa iniqua, ma ineludibile, perché il permesso di soggiorno è obbligatorio e farne a meno comporta, notoriamente, un reato, il cui reddito, per di più, è destinato a meglio vessare coloro ai quali viene richiesto. E un bell'esempio, rimodulazione a parte, di continuità nella classe dirigente nazionale, sempre disposta – per far fronte alle più diverse esigenze – a raccattare quattrini dove è più facile trovarli, senza badare più di tanto ai problemi di equità o, nel caso, di semplice umanità. Per rendere perfetto il parallelismo, che unisce idealmente i “tecnici” di fine Ottocento con quelli attuali, manca solo qualche bel tumulto, con successivo intervento del generale di turno. D'altronde sarebbe, anche costui, a tutti gli effetti un tecnico.
08.01.'12