Vi ricordate Duca Lamberti, l’eroe
dei quattro thriller di Giorgio Scerbanenco, dai quali si fa comunemente
discendere il nuovo giallo italiano d’azione, no? Era un medico,
votato quindi al servizio dell’umanità sofferente, ma interpretava le
sue responsabilità in senso più ampio di quanto consentissero le norme
stabilite, per cui aveva praticato un’eutanasia, era finito per tre anni
in galera e, uscitone, si era trovato sciolto da impegni e convenzioni
sociali, libero – quindi – di seguire il proprio destino di eroe nero.
Be’, sembrerebbe che trentacinque anni dopo la sua figura si sia
reincarnata in quel di Bologna, magari in forme un poco più caricate, come
si addice ai nostri tempi duri. Walter Maggiorani, il protagonista
del giallo di esordio di Matteo Bortolotti, un brillante venticinquenne
che l’editore presenta come l’ultima entry della gloriosa scuola
bolognese, è addirittura un ex prete che ha ucciso, per motivi che emergeranno
nel romanzo, un boss della mala, facendosi una certa fama popolare di giustiziere.
Questo non gli ha evitato la galera, naturalmente, ma dopo quattro
anni ne è uscito, per intercessione di un alto prelato (“il Cardinale”,
una figura antipaticissima di ciccione che ricorda i cattivi dei racconti
pulp), che gli ha imposto la penitenza di regolare brevi manu, se necessario
a colpi di arma da fuoco, gli affari sporchi di Santa Madre Chiesa. Trasformato
così in una specie di killer ecclesiastico, il nostro eroe è libero di
aggirarsi in una Bologna nerissima, tutta mercanti di armi, di droga e
di carne umana, massacrando chi merita di essere massacrato, coinvolgendo,
di passaggio, anche qualcuno che c’entra solo fino a un certo punto e
cercando di dominare come può i propri incubi e le proprie pulsioni omicide.
In questo romanzo dovrebbe trovare le tracce di una signorina di
buona famiglia che al Cardinale sembra stare a cuore ed è misteriosamente
scomparsa, ma è soprattutto impegnato a risolvere i guai di un ex compagno
di cella, un protettore albanese la cui ragazza è stata ridotta in fin
di vita chissà da chi. È ovvio che i due casi siano collegati, secondo
la tradizione del genere, ma la vicenda, più che su una trama riconoscibile,
si regge sulla evocazione di un clima disperato e violento, di una realtà
impermeabile a qualsiasi tentativo di redenzione, a onta degli sforzi congiunti
di preti e giustizieri di vario tipo. Insomma, un prodotto programmaticamente
esagerato, una esibizione di pessimismo socioesistenziale che sembra stranamente
in contrasto con la faccia da bravo bambino che l’autore esibisce in quarta
di copertina. Ma la prosa di Matteo Bortolotti, in realtà, è intonata
su un registro troppo cupo per essere presa sul serio dal principio alla
fine: appena si prova a leggerla con uno spirito appena un po’ distaccato
ci si accorge che in fondo l’autore, con tutte queste esagerazioni, si
diverte parecchio. Il suo è un gioco eminentemente letterario sulle
convenzioni e la tradizione del noir e visto che il ragazzo indubbiamente
sa scrivere nulla impedisce che anche il lettore possa ricavarne la sua
parte di divertimento. Ma con cautela, mi raccomando.
05.12.’05
Matteo Bortolotti, Questo è il mio sangue, Colorado noir, pp. 263, € 14,00