Quello che sapevamo tutti

La caccia | Trasmessa il: 11/21/2010


    Quello che sapevamo tutti

    Sapevamo tutti che le primarie milanesi del centrosinistra, domenica scorsa, le avrebbe vinte Giuliano Pisapia. Se ne mostrava sicuro lui, che è persona – per chi lo conosce – poco portata ad autoilludersi; lo prevedeva uno dei sondaggi più accreditati e – soprattutto – era chiaro a chiunque come il competitore principale non fosse riuscito a venire a capo dei suoi problemi d'immagine, non avesse messo a punto una efficiente strategia di comunicazione con gli elettori. Non avevamo previsto – non l'aveva previsto nessuno, in realtà – che la partecipazione al voto si sarebbe mantenuta tanto al di sotto delle aspettative, ma questo perché ad autoilludersi la sinistra in genere (e i suoi organi di comunicazione in particolare) è molto più propensa del suo attuale candidato. In effetti, se si pensa a come erano andate le primarie di cinque anni fa, con l'incoronazione di un aspirante sindaco che, una volta trombato, non aveva sentito neanche il dovere civico di rimanere a guidare l'opposizione, il fatto che 67.000 cittadini e passa si siano presi il disturbo di andare alle urne sotto la pioggia sembra un mezzo miracolo. Anzi, personalmente nutro il sospetto che il numero degli elettori del 2006 che hanno deciso domenica di restare a casa sia ben più alto della differenza scalare tra i dati delle due consultazioni e che a 67.000 si sia arrivati perché la presenza di Pisapia ha convinto una quantità di gente che, quattro anni fa, di votare per un prefetto proprio non se l'erano sentita.
    Un'altra cosa che sapevamo tutti, comunque, è che a Pisapia, per avere la sicurezza di essere proprio lui ad affrontare la Moratti, non sarebbe bastato battere alle primarie Stefano Boeri. Lo sussurravano a destra e manca i bene informati, riferendolo a chi era informato un po' meno e che, a sua volta, avrebbe diffuso la voce a livello di comune sentire. Sì, le primarie, va bene, le abbiamo fatte e sono state una grande prova di democrazia, ma un candidato così spostato a sinistra non va bene, non serve, non taglierà mai il traguardo, arriverà terzo dopo Albertini... non converrebbe lasciare Pisapia al suo destino e puntare direttamente sul redivivo pavone? E di sussurro in sussurro, di voce in voce, la bella pensata è già arrivata al livello di proposta ufficiale, sia pure minoritaria e sia pure respinta con sdegno. Con tanto sdegno, in effetti, da non far presagire a noi sospettosi niente di buono.
    Vedremo. Ma, per intanto, sarà bene tenere a mente che per estirpare l'eterna tentazione della sinistra milanese e italiana, quale si è incarnata negli ultimi anni nel Pd, e prima nei Ds, e prima ancora nel Pci, quella di convergere sempre e comunque, ove appena sia possibile, al centro (anche se adesso lo si chiama “terzo polo”), ci vuol altro che un 45,36% contro il 40,15 alle primarie. Le primarie che piacciono davvero ai cultori di questa scuola di pensiero sono quelle che hanno un solo candidato sicuro, selezionato dagli organi di partito e contrapposto, se va bene, a due o tre comparse prive della minima possibilità: le primarie, per dire, di Prodi, di Veltroni, di Bersani e, per restare su scala municipale, di Ferrante. Sono le primarie “di ratifica”, quelle già vinte in partenza, da un vincitore che non sarà designato dai suoi elettori, ma è già stato designato da qualcun altro e, in effetti, dal voto popolare non può trarre né potere né autorevolezza, come dimostrano, appunto, i casi di Prodi e di Veltroni, per non dire della posizione attuale di Bersani (Ferrante, per carità di patria, lasciamolo perdere). Il caso di Pisapia vs. Boeri è interessante appunto perché rappresenta uno dei pochissimi esempi noti di investitura effettiva dal basso. È un occasione e cerchiamo di non sprecarla.
21.11.'10