Punti di vista

La caccia | Trasmessa il: 11/21/1999



Gli ascoltatori più anziani avranno letto senz’altro, a scuola, quel passo delle Mie prigioni di Silvio Pellico in cui Pietro Maroncelli, in seguito a un’infermità contratta nel tetro carcere dello Spielberg, deve essere, diciamo così, operato a una gamba.  E ricorderanno, nonostante lo sgradevole sentore di abiura che promana da quel volume, i toni commossi con cui vi si rievoca la forza d’animo di chi, che oltre a sottoporsi senza fiatare a un’amputazione senza anestesia, trovava persino il modo di esprimere la sua gratitudine all’imperial regio chirurgo che l’aveva operato, donandogli – ricorderete – una rosa.   Il poveruomo, evidentemente, pur non avendo rinnegato, come il Pellico, gli ideali liberali che lo avevano portato in galera, riteneva, nel caso, di potersi fidare del sistema giudiziario asburgico, di cui il chirurgo in questione, medico militare di stanza in un istituto di pena, faceva parte a tutti gli effetti.  Né, in verità, questa fiducia doveva essere malriposta, visto che, pochi anni dopo, rgli sarebbe stato oggetto di un atto di clemenza e senza alcuna necessità di pentirsi: una sorte che nell’Italia di oggi non gli capiterebbe.
        Una fiducia di questo genere in Bettino Craxi non alligna di certo.  Anche lui dev’essere operato, anche se gli si prospetta un intervento meno drastico di quello descritto dal Pellico, ma ad affrontarlo in stato di detenzione non ci pensa nemmeno.  Rifiuta persino una prigionia puramente formale, come gli arresti domiciliari presso l’ospedale scelto per l’intervento.  I motivi li conosciamo tutti: l’ex leader socialista si considera vittima di un’odiosa persecuzione politico giudiziaria, non riconosce ai suoi giudici il diritto di disporre della sua persona e in pratica si sta giocando la pelle nel tentativo di ottenere quella ragione che ritiene gli sia dovuta.
        Di fronte a tanta ostinazione, si sarebbe quasi tentati di esprimere al vecchio combattente una pur riluttante ammirazione.  Anche chi, come me, crede che il bilancio politico dell’attività di Bettino Craxi sia stato, per il paese, un disastro, e che ritiene che nel suo caso i riscontri giudiziari fossero, una volta tanto, più che sufficienti per una condanna esemplare, può capire certe sue argomentazioni.  Il “perché solo io?” che continua a lanciare ai suoi accusatori, pur non avendo valore esimente in sede penale, rappresenta un problema storico e politico che bisognerà affrontare, in un modo o nell’altro.  Solo chi è senza peccato dovrebbe scagliare la prima pietra, ma in Italia i peccatori più incalliti sono sempre entusiasti di partecipare alla lapidazione di qualcun altro.
        Ma ci sono cose che Craxi proprio non riesce a capire.  Provate a rileggere la sua ultima dichiarazione, come la riportano i giornali di giovedì scorso, in quel passaggio dove afferma che, dato che vive in Tunisia “in una posizione legale e internazionalmente riconosciuta”, sotto “la protezione di esplicite norme del Trattato Europeo dei diritti dell’uomo”, la sua condizione può essere definita “a pieno titolo come di esule politico”, non essendo lui “in nessun caso un latitante né un fuggiasco”, per cui chi in Italia continua a trattarlo o definirlo come tale “per ragioni di comodo o di demagogia piazziaiola … dichiara deliberatamente il falso”. Belle parole, forse, se vi piace il tono, ma nulla più.  A Craxi, il fatto, innegabile, di godere di diritti e protezioni garantite a livello internazionale sembra la miglior garanzia della propria innocenza.  Nessuno gli ha mai spiegato che anche i colpevoli, ahimè, hanno i loro diritti e devono godere delle relative protezioni.  Lui i colpevoli li schiaccerebbe sotto il tallone.  Sarà per questo che insiste nel rifiuto di riconoscere il proprio stato di latitante e fuggiasco, anche se l’unica cosa di cui proprio nessuno può dubitare è il fatto che dall’Italia è fuggito (anche se allora affermava di agire per motivi di salute, gli stessi per cui oggi vorrebbe rientrare) e che attualmente ne latita, nel senso che, semplicemente, non c’è.  Certo, tutti, compresi i suoi giudici, sanno dove si trova ma, per motivi di diritto internazionale non possono andare a prenderlo e questo fa tutta la differenza.
        Il che non significa, naturalmente, che non si possa considerarlo un esule politico.  Di fattori politici, nei comportamenti che l’hanno fatto condannare, non ne mancavano certo e tanto basta.  E poi “esule” e “latitante” non sono termini incompatibili, anzi.  Tutti gli esuli politici, in genere, sono tali perché se fossero restati nel loro paese avrebbero subito persecuzioni e condanne: altrimenti perché avrebbero dovuto lasciarlo?  Gli esuli, per chi li cerca, sono dei fuggiaschi e i fuggiaschi, per chi ne condivide le motivazioni, sono degli esuli: è tutta questione di punti di vista.
        Ma appunto.  Se c’è una cosa che Craxi non ha mai saputo fare è tener conto dei punti di vista.  Non si addiceva né al suo decisionismo né al concetto che aveva di sé.   Altrimenti non avrebbe mai creduto, pur avendo sempre guidato o appoggiato dei governi di coalizione, e in una posizione più debole di quella degli altri coalizzati, di essere lui al centro dei sistema politico.  Maestro di tattica, ma modesto stratega, ha sempre creduto che l’unico punto di vista che contasse fosse il suo e di questa pervicace convinzione sta, purtroppo, scontando le conseguenze.   Auguriamogli che i suoi guai di salute si risolvano nel migliore dei modi: per uno come lui non c’è altro da fare.

21.11.’99