Prudenza e potere

La caccia | Trasmessa il: 01/30/2011


    Nostro Signore, quando qualcuno voleva sapere da Lui se fosse proprio necessario pagare le tasse, non rispondeva ne sì né no, risposte che potevano entrambe, se riferite a chi di dovere, comportare dei ritorni sgraditi. Raccomandava piuttosto di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, una bella frase di sicuro successo (on a caso è tra i pochi Suoi detti riportati in tutti i Vangeli sinottici e persino in qualche testo extracanonico), che ciascuno poteva ingegnarsi di interpretare a modo suo, ma non è, in sé, esattamente perspicua. E quando gli chiedevano se si dovesse o meno lapidare l'adultera non sbottava “Ma no, disgraziati, cosa dite? Lasciatela andare subito!” o qualcosa del genere, ma diceva che facessero pure, a patto che a lanciare la prima pietra fosse qualcuno senza peccato. Aveva, per parlare in quel modo suggestivo, ma vagamente ambiguo, le sue buone ragioni. La Palestina di allora (un po' come quella di oggi) era un posto pericoloso, in cui era piuttosto alto il rischio che le parole di possibile interpretazione sediziosa (come l'invito a non pagare le tasse) fossero riferite agli occupanti romani, o le espressioni in apparenza troppo concilianti e anticonformiste (come l'invito a pagarle, o quello a lasciare in pace le adultere, poverette) giungessero alle orecchie degli oppositori più intransigenti o dei custodi interessati della tradizione. Un povero profeta senza potere, troppo concentrato nell'altezza del Suo messaggio per potersi lasciar coinvolgere in quel tipo di beghe, doveva muoversi con una certa cautela. Tanto più che l'adultera – in definitiva – si salvava (a quei tempi la gente doveva essere più sincera: oggi le pietrate fioccherebbero a valanga) e, quanto alle tasse, le avranno pagate, come sempre, soprattutto coloro che consideravano troppo alto il rischio di venire beccati in caso contrario. L'invito a dare a Cesare quel che era di Cesare, veramente, poteva essere considerato anche una esortazione a non usurpare, in nome della religione, il potere politico, e non è stato questo, tra gli insegnamenti del Redentore, quello maggiormente seguito. Ma si sa come vanno le cose in questo mondo imperfetto.
    Alla prudenza di Gesù parrebbero dunque rifarsi quei potentati ecclesiastici che, in certe circostanze, preferiscono non compromettersi direttamente in questioni
    che troppo appassionano il mondo terreno. Il cardinale Bagnasco, così, che necessitato di esprimere, in quanto presidente della Cei, un giudizio sul puttanaio morale in cui si è ficcato, con scandalo di molti cittadini timorati, il presidente Berlusconi, ha detto sì che “Nubi preoccupanti si addensano ancora una volta sul nostro Paese”, che “si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci … di di stili di vita non compatibili con la sobrietà e la correttezza”, ma si è rifiutato di precisare se tali squarci fossero “veri o presunti” e ha aggiunto che “qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l'ingente mole di strumenti di indagine”. Si è tenuto, cioè, sul vago, evitando con cura di fare il nome dell'utilizzatore finale del succitato puttanaio, e senza smentire l'antica consuetudine ecclesiastica di compesare i colpi al cerchio con quelli alla botte. E questo sarebbe già abbastanza desolante, anche se il porporato, dopo un rapidissimo accenno alla “misura”, alla “sobrietà”, alla “disciplina” e all' “onore” che ogni mandato politico dovrebbe comportare, non concludesse che “è necessario fermarsi – tutti – finché siamo in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Paese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia, senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell'etica, della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro”. Che è un bell'invito a smettere di fare tutto 'sto casino sulle Ruby e sulle Minetti e stringersi compatti attorno al governo, che ci accompagnerà con lungimiranza ed efficacia dove la Chiesa vuole che ci accompagni (e basta quel misurato accenno alla “vita” per farci capire qual è la direzione che ci si indica).
    La differenza rispetto al messaggio evangelico, naturalmente, sta nel fatto che qui chi parla di potere ne ha in abbondanza. E che, Cesare o non Cesare, si propone di usarlo tutto per ottenere da un governo indebolito e discusso la realizzazione dei desiderata ecclesiastici. Chi del clero particolarmente diffida, come me, potrebbe vedere in queste parole persino un sottile sottinteso ricattatorio. Sua Eminenza sa bene come l'appoggio suo e dei suoi sia basilare per il centrodestra e vuole essere sicuro che la sua controparte laica se ne renda conto. Altrimenti, magari, potrebbe smettere di chiedersi “a che cosa sia dovuta l'ingente mole di strumenti di indagine”.
    Il Cardinale, peraltro, fa il suo mestiere. Quelli che non lo fanno sono i vari esponenti di una sinistra ormai giunta all'ultima fase dell'afasia, che esultano a queste parole o i giornalisti laici che intitolano a piena pagina, come fa “Repubblica” del 25 gennaio, “Bagnasco, schiaffo a Berlusconi”. Di simili schiaffi, in verità, farebbe piacere a tutti riceverne quanti più possibile. Ma a Berlusconi, appunto, sono riservati: quando ce l'ha con noi la Chiesa preferisce ancora il vecchio metodo dei calci nel culo.
30.01.'11

    Nota

    L'aforisma sul dare a Cesare quel che è di Cesare si trova in Matteo 27,21; Marco 12,17; Luca 20,25. L'episodio dell'adultera in Giovanni 8, 7-11.