Provocazioni, compagni

La caccia | Trasmessa il: 04/30/2006




Quello di non cadere nelle provocazioni, compagni, ai tempi della mia giovinezza militante era un invito comune.  Si trattava di un’espressione, in sé, abbastanza generica (perché, in fondo, “non cadere nelle provocazioni” significa semplicemente “non fare quello che gli altri vogliono che tu faccia”), ma nessuno aveva dubbi su cosa intendesse significare: l’esortazione a non abbandonarsi, pur in presenza di fatti e personaggi che abbondantemente li giustificavano, a gesti o parole che potessero dar adito a un’eventuale accusa di violenza, intolleranza o irascibilità.  L’idea era quella che per quanto fosse da schiaffi la faccia da schiaffi che ti si parava davanti, bisognava guardarsi dall’allungarle anche un solo buffetto, a rischio di deteriorare gravemente la propria immagine.

       Be’, c’è immagine e immagine e tutto dipende da quale si preferisce esibire, ma va detto che, allora, quanti non avevano scrupolo di fare la faccia feroce di provocazioni ne subivano straordinariamente poche.   Toccava sempre agli altri, ai miti cui ogni tanto saltavano i nervi, ai tolleranti che a reggere certi figuri non sempre ce la facevano, a chi affermava il valore del dialogo senza peraltro riuscire a dialogare proprio con tutti.  Ed è ovvio, a pensarci: il vero provocatore – lasciatelo dire a me, che, sia pure sul piano intellettuale, per tale sono stato spesso annoverato – non tende tanto a far risaltare le caratteristiche di fondo dell’avversario, ma a mettere in evidenza le sue possibili contraddizioni.  E siccome di contraddizioni ne abbiamo tutti, più o meno, il suo compito è sempre stato straordinariamente facile.

       Tanto è vero che nelle provocazioni, compagni, continuiamo a cadere con preoccupante regolarità.  Nonostante la lunga pratica, non ci siamo mitridatizzati abbastanza e riusciamo regolarmente a farci del male.

       Non mi riferisco, naturalmente, a quanto è successo a Milano martedì scorso, ma piuttosto alle polemiche del mercoledì.  Polemiche futili e, soprattutto, confuse.  Perché poteva essere giusto, secondo me, deplorare il gesto di chi ha dato alle fiamme una bandiera israeliana, visto che bruciando una bandiera, in simmetria speculare con chi della bandiera si ammanta, si finisce per offendere, accanto a chi merita di essere offeso, persone e valori cui spetta, invece, rispetto, ma tutto quel cancan per i fischi alla Moratti, compagni, come ce lo siamo potuti permettere?  I fischi, come sa qualsiasi frequentatore di stadi e loggioni, non sono una manifestazione di violenza e neanche, dio scampi, di intolleranza.  Toccano agli arbitri in malafede, ai tenori che non riescono a prendere l’acuto, agli attori che si pavoneggiano senza aver alcuna ragione per farlo.  Esprimono una legittima disapprovazione, per di più su un piano affatto simbolico, e chi fa politica, specie in ruoli esecutivi, sa che può sempre essere disapprovato.  Nello specifico, poi, sa il cielo se non fosse il caso di censurare una candidata che si presentava in piazza, quel giorno, con il vecchio padre ex partigiano, quando era notoriamente in procinto di apparentare la propria lista con quelle dei neofascisti.  La politica ha le sue esigenze, ma tra di esse c’è anche quella di un minimo di coerenza.   La festa del venticinque aprile celebra la liberazione dal fascismo e per parteciparvi bisogna rispondere a certe condizioni di base, tra cui quella di non allearsi con certa gente.   A cadere in contraddizione, in questo caso, è stata solo lei e i cittadini, fischiandola, glielo hanno fatto cortesemente notare.  Guai se non avessero provveduto in merito.

       In questo contesto, ovviamente, la vera provocazione è stata quella di chi, approfittando di quel banale episodio, si è stracciato le vesti, ha caricato le tinte e ha rovesciato su tutti gli antifascisti presenti le più incredibili accuse.  Accuse che non sarebbe stato difficile rispedire al mittente, se non fosse scattato il riflesso pavloviano di chi, per un motivo o per l’altro, non si sente mai legittimato abbastanza dall’avversario.   Quali danni, in tal modo, la sinistra sia riuscita ad autoinfliggersi lo verificheremo domani, in occasione del primo maggio, visto che, per una volta di più, siamo riusciti a fare appunto quello che gli altri volevano che facessimo.  Tanti auguri a tutti.


30.04.’06