Due affermazioni mi hanno particolarmente
colpito tra le molte dispensate da Berlusconi in chiusura del vertice europeo
di Hampton Court. La prima è quella con cui si è rifiutato di commentare
il prezzo dei pannolini in Italia (pare sia più alto che altrove) perché
lui ancora non li usa. Suppongo volesse essere una battuta e qualche
sorriso agli interlocutori lo avrà strappato, ma è una di quelle facezie,
in realtà, che vengono in mente soltanto a chi, in qualsiasi circostanza,
ha in mente soprattutto se stesso e al proprio ego è solito riferire ogni
cosa. Anzi, avrete notato che questo genere di pulsione è così radicato
nel soggetto da indurlo, talvolta, a veri e propri fraintendimenti: nel
caso, è probabile, come si evince dall’uso dell’avverbio “ancora”,
che il Berlusca abbia confuso i pannolini con i pannoloni, un articolo
notoriamente rivolto a un target di persone in età, e abbia voluto precisare,
un po’ per celia e un po’ perché a certe cose ci tiene, di non essere
abbastanza anziano per averne bisogno. Di pannolini per la prima
infanzia non si intende e non si interessa, anche se – in verità – ha
avuto abbastanza figli e nipoti da alzare, da solo, la media della natalità
nel paese. Ma sono cose del passato e a lui, si sa, il passato interessa
poco.
L’altra
affermazione degna di nota riveste un interesse, diciamo, di natura più
formale. Ricamando, come è suo solito, sul tema dei “segnali di
ripresa” che lui e pochissimi altri riescono a leggere nella situazione
economica corrente, il Silvio nazionale ha auspicato, con probabile riferimento
ai suoi avversari politici, che “i menagrami la smettano perché fanno
il male di tutti e dell’Italia”. Ed è caduto, se la citazione è
esatta (io la prendo da “Repubblica” di venerdì 28), in un clamoroso
infortunio grammaticale, perché i composti di questo tipo, come risulta
da qualsiasi buona grammatica, in italiano al plurale sono rigorosamente
invariati. È ovvio, d’altronde: se a menar gramo sono più persone,
non per questo portano “grami”, una forma che rappresenterebbe il plurale
di un collettivo e va quindi evitata con cura. E poi, “rompighiacci”
non è il plurale di “rompighiaccio” e quello di “ammazzasette”, si
sa, non fa “ammazzasetti”. I pedanti come me spingono il rispetto
della regola fino a dire “pomidoro” e non “pomodori”, ma è un caso
diverso e lasciamolo pure lì. L’errore, in realtà, è piuttosto comune
e affatto veniale, ma da uno così avvezzo a vantare l’eccellenza dei propri
studi ci si aspetterebbe un minimo di sforzo di precisione in più. Dai
salesiani, se lo avessero sentito dire “menagrami” gli avrebbero inflitto,
come minimo, un “penso” di venti pagine. Forse, se si concentrasse
un po’ meno su se stesso e un poco di più sulle regole e le norme che
valgono per tutti, il Presidente del Consiglio ci guadagnerebbe un po’
in simpatia, una cosa di cui – oggi – ha sicuramente bisogno.