“Un’icona,” assicura un manifesto
pubblicitario che ho avuto occasione di vedere in una delle mie rare uscite
di questi giorni, “vale più di duemila parole.” E non si tratta,
per quanto possa sembrarlo, della pubblicità di uno di quei monasteri bizantini
in cui il culto delle icone sacre si sposa con il più rigoroso voto del
silenzio per i cenobiti che ivi fuggono il mondo. Qui si allude
a icone assai più moderne, anche se altrettanto venerate. Sotto lo
slogan, di fatto, compare la riproduzione in formato gigante di un telefono
cellulare di ultima generazione, di quelli dotati di schermo, o, come credo
che più correttamente si dica, di display. E sul display, invece
delle parole costitutive di quei “messaggini” che i fortunati proprietari
di quegli artefatti sono soliti scambiarsi, figura appunto un’icona, l’immagine
stilizzate di un cuoricino, di quelli che, per convenzione ormai consolidata,
alludono più alla tenerezza dei sentimenti che alle condizioni cardiache
del titolare. Se ne deduce, naturalmente, che procurandosi quello
specifico modello di telefonino sarà possibile inviare ai propri corrispondenti,
invece di uno scontato messaggio verbale, una ben più moderna e pregnante
comunicazione di tipo iconico. Che vale, appunto, ben più di duemila
parole.
Sarà.
Personalmente non riesco a farmi venire in mente quali altre immagini
si potrebbero utilizzare in questo tipo di comunicazione. Un cuoricino
assicura al destinatario, o alla destinataria, che il mittente è ancora
ebbro d’amore, ma poche stilizzazioni grafiche godono di altrettanta univocità
semantica. Si potrebbe, forse, impiegare il profilo di una pentola
fumante per segnalare che è arrivato il momento di buttare la pasta, o
il glifo dell’euro per ricordare ai debitori distratti che è giunto il
momento di onorare i propri impegni, anche se il risultato non mi sembra
così sicuro. Ma dev’essere colpa mia, che non m’intendo di queste
cose. Di fatto di immagini dal significato convenzionalmente accettato
a livello di gruppo ne esistono a centinaia (basta dare un’occhiata allo
schermo di qualsiasi computer) ed è probabile che grazie a esse si possa
comunicare, da un display all’altro, qualsiasi cosa.
Sì,
ma perché? Perché un’icona, come assicura lo slogan, vale davvero
più di duemila parole? E chi lo dice? Chi ha deciso che l’immagine
di un cuoricino garantisce dell’affetto di chi l’ha mandata molto di
più che una pur succinta dichiarazione verbale? Quest’ultima, certo,
bisogna inventarsela, e non limitarsi a sceglierla da un catalogo o da
un menù (come suppongo avvenga nel caso in questione), ma questo è appunto
il bello della comunicazione verbale. La parola, diceva un antico
che se ne intendeva, è un piccolo dio, che pur avendo esile il corpo dispone
di forza tremenda, che può rendere grande il piccolo e piccolo il grande
e resta comunque lo strumento primario di cui gli uomini si sono serviti
per costruire nei millenni la loro comunità. Di chi, per comunicarmi
qualsiasi cosa, non sa trovare le parole adatte, sia pure le più banali,
ma preferisce servirsi di una serie di simboli preconfezionati, di messaggi
standard definiti da altri, sono autorizzato a pensare che si tratti di
un individuo affatto privo di intelligenza e comunicativa, con cui per
nessun motivo desidererei avere a che fare. Prendetela pure
per la dichiarazione interessata di chi, finora, ha vissuto essenzialmente
spacciando parole, ma io resto convinto che una parola ben detta valga
più di duemila icone.
Già.
Ma c’è un particolare di cui bisogna comunque tener conto. Chi
ti manda un’icona possiede quel tipo di telefonino lì. Che è –
suppongo – un ultimo modello, dotato di poteri e capacità di cui la concorrenza,
per ora, non dispone, il che pone indiscutibilmente i suoi possessori su
un piano più alto di coloro che sul display del proprio cellulare possono
far comparire soltanto degli antiquati simboli alfabetici. Un’icona
vale più di duemila parole perché il telefonino capace di inviartela vale
(e costa) più di un telefonino che no.
Che,
nel mondo in cui viviamo, il valore di un individuo non vada più cercato
nella capacità di fare o di dire, ma si misuri, senza residui, sul prezzo
degli oggetti che possiede, naturalmente lo sapevamo già. Ma da un
po’ di tempo non ce lo lasciano proprio dimenticare.
20.01.’02