Parole e musica

La caccia | Trasmessa il: 03/04/2012


Parole e musica

    Chissà perché il papa ha deciso di venire a Milano. Sì, c'è l'incontro internazionale delle famiglie, o quello che è, ma dubito che l'evento sia stato programmato senza tener conto della sua disponibilità a parteciparvi e delle sue preferenze in tema di tempi e di luoghi. Ed è anche vero che nella nostra città si è da poco insediato come arcivescovo il cardinale Scola, che di Ratzinger è considerato, se non proprio il successore designato, una sorta di pupillo, ma i pontefici non sono usi fare visite pubbliche ai propri pupilli, né tanto meno concedere loro plateali investiture sul campo, figuriamoci questo, cauto com'è e tanto attento a che attorno a lui non si formino poteri in grado di dar ombra al suo. Milano, poi, non è terra di missione e non pone grossi problemi religiosi: è sede di una comunità cattolica forte e ben organizzata, in rapporti tutto sommato pacifici con il mondo laico e con le organizzazioni religiose degli immigrati, le quali, a loro volto, si distinguono per, moderazione e hanno persino rinunciato, per non procurare noie alla controparte, all'ipotesi di una moschea centrale, come ne esistono in tutta Europa, e se i costumi e lo stile di vita degli abitanti, nel complesso, non sembrano particolarmente conformi al messaggio cristiano, la situazione non è essenzialmente diversa da quella di qualsiasi grande città ex industriale del nostro continente. In mancanza di crociate da bandire e di allori da tributare, non si capisce bene cosa spinga il pontefice ad avventurarsi qui tra il Lambro e l'Olona (perché anche Milano è una di quelle “città dai due fiumi” da cui Nostradamus esorta i papi a guardarsi) e viene spontaneo chiedersi se non farebbe meglio a rivolgere altrove le sue cure pastorali.
    Secondo me, il papa viene a Milano per andare alla Scala. Uomo di cultura, appassionato di musica, discreto pianista dilettante e – soprattutto – tedesco, non poteva sottrarsi all'obbligo di pagare un tributo che pagano quasi tutti i suoi concittadini in visita al bel paese. Tra tutte le “eccellenze” che Milano vanta, spesso a sproposito, quella della Scala è l'unica quasi unanimamente riconosciuta, l'unica che eserciti un vero richiamo internazionale (in effetti, normalmente il teatro è tanto affollato di stranieri in visita che i milanesi hanno difficoltà a mettervi piede) ed è probabile che anche Ratzinger abbia sempre desiderato goderne. Tanto è vero che nel programma straordinariamente denso della sua visita, che tra celebrazioni in Duomo, incontri con i cresimandi e le autorità, discorsi allo stadio e messe all'aeroporto gli lascia appena il tempo di respirare, è stato inserito il concerto scaligero con il maestro Barenboin. Il papa, stando a quanto ha dichiarato il cardinale, “ha accettato con entusiasmo l'invito a partecipare” all'evento, ma non gli si recherà offesa pensando che sia stato lui stesso a sollecitarlo.
    Mah. Dal punto di vista della storia della cultura, la presenza di un pontefice nel più noto teatro lirico del mondo non è cosa tanto pacifica. Non per niente alcuni quotidiani parlano di una “prima” del papa alla Scala, di una novità che merita di essere segnalata. A me, veramente, sembra di ricordare che anche Wojtyla, nella sua visita del 1983, si sia spinto nella sala del Piermarini, ma forse mi sbaglio e comunque il precedente conta poco, perché Giovanni Paolo II, con tutto il rispetto per la sua santità, era un po' un anticonformista, uno che veniva, come si sa, “da lontano” e non sempre rispettava i protocolli e le idiosincrasie della curia romana, ai cui esponenti l'idea di un papa al concerto avrebbe senza dubbio fatto venire l'orticaria.
    In tutta la sua storia, in effetti, la Chiesa ha sempre avuto molta cura nel distinguere la musica sacra, che si esegue in chiesa, spesso fa parte del culto e ha sempre, comunque, un certo valore devozionale, per cui nelle strutture ecclesiastiche le si riserva grande spazio, da quella profana, che si fruisce per mero diletto e quindi più o meno rientra in quello spettro di piaceri terreni che ai fedeli sono, se non espressamente proibiti, per lo meno sconsigliati. Non parliamo della musica lirica, in cui l'ambiguo diletto della fruizione artistica si fonde con quello, decisamente peccaminoso, della rappresentazione teatrale. Il teatro, si sa, è sempre stato visto dal clero con occhio sospettoso: non sono passati poi molti anni da quando agli attori era preclusa la sepoltura in terra consacrata e la frequentazione delle platee era sottoposta a stretti vincoli di calendario a seconda della ricorrenze religiose. L'opera lirica, in quanto teatro, per così dire, alla seconda potenza, era doppiamente condannata e la condanna si estendeva ex officio ai luoghi dove la si eseguiva e agli artisti che vi lavoravano. Ricordo personalmente che ancora nei primi anni '60 del secolo scorso, quando a Milano si pensava di celebrare non so più quale ricorrenza manzoniana eseguendo il Requiem di Verdi in Duomo, dalla Curia fecero sapere che, nonostante si trattasse di una forma liturgica, il carattere teatrale di quella musica (e di quel musicista) la rendeva poco o punto appropriata alla Cattedrale e infatti non se ne fece niente.
    Ora scopriamo che Benedetto XVI, nonostante il suo passato da grande inquisitore, non considera contraddittorie le parole del suo magistero con la musica che si fa alla Scala e anzi verrà di persona nel nostro più famoso teatro per ascoltare non proprio un'opera, ci mancherebbe, ma la IX Sinfonia di Beethoven, che era, sì, cattolico, ma non proprio un bacchettone e utilizzò per quell'opera un testo di Schiller che dal punto di vista della dottrina della fede lascia piuttosto a desiderare. È una cosa che non può che rallegrare noi tutti amanti della musica (e della Scala), ma che, al tempo stesso, un po' ci preoccupa. O almeno preoccupa me, che pur avendo da tempo serenamente superato l'anticlericalismo della mia giovinezza impetuosa, i papi e i loro simili li preferisco visti da una certa distanza, limitati, per così dire, alla propria sfera di esercizio e di influenza, non così intimamente mescolati alla nostra vita quotidiana. E sì, mi rendo conto che alla Scala alla gente normale come me capita di rado di andarci per cui le possibilità di un incontro sono, tutto sommato, remote, e che comunque la presenza di Benedetto XVI in quella sede sarà un omaggio non da poco alla città in cui vivo, ma si sa come vanno le cose con certa gente, si comincia con i concerti e tempo zero ti ritrovi vescovi e cardinali dappertutto, alla movida sui Navigli, all'happy hour in corso Sempione, alle sfilate di moda, ai dibattiti alla Casa della Cultura, alla manifestazione del 25 aprile, a Radio Popolare... Il che può essere visto come l'abbattimento da parte loro di certi steccati storici, un passo avanti sulla via della modernità, una sorta di laicizzazione della loro attività istituzionale, ma può consistere anche nell'esatto contrario di ciò, in una sorta di clericalizzazione strisciante della società civile. E prima che mi ribattiate che queste sono fissazioni, potremmo riflettere tutti sul fatto che, a quanto mi è sembrato di capire, giunta e consiglio comunale hanno convenuto sull'opportunità di rinviare l'istituzione del registro delle unioni civili a dopo la visita pontificale, evidentemente per risparmiare all'illustre visitatore l'imbarazzo di stringere la mano a personaggi capaci di tanta nequizia. È solo un rinvio, figuriamoci, la cosa si farà senz'altro e il papa, comunque, c'entra e non c'entra, ma a me ha dato fastidio lo stesso.
04.03.'12