Parole di amore

La caccia | Trasmessa il: 05/28/2006




Piace molto anche a me, ve lo confesso, quel sonetto che Berlusconi ha citato in un suo comizio, quello in cui un giovane Dante si augura che un “buono incantatore” lo ponga in un “vasello”, su una barchetta che si muova leggera sul mare, insieme ai suoi amici poeti, Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, e i rispettivi, poetici amori: monna Vanna, che fu cantata da Guido, monna Lagia, cui andarono i versi di Lapo e, per quanto riguarda lui stesso, “quella ch’è sul numero delle trenta”, come a dire colei che dalla Vita nova ci è nota come la “prima donna dello schermo” e che, in un sirventese scritto dal sommo poeta in lode delle cento più belle creature di Firenze occupava, appunto, il trentesimo posto.  Dante, si sa, nei quattordici versi del sonetto non si muoveva sempre del tutto a bell’agio, e anche questo esemplare del genere non è un capolavoro assoluto: sembra un filo un po’ troppo concettoso nella seconda quartina l’auspicio che “vivendo sempre in un talento” di stare insieme sempre cresca il disio ed è vagamente burocratico, forse, il tono con cui, nei versi successivi, si elencano le amate, ma il tutto si salva per quel leggiadrissimo incipit, “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io”, per la ripresa maliosa dell’ultima terzina (“e quivi ragionar sempre d’amore”…) e per quel tono trasognato, di vagheggiamento di un ideale di perfetto amore cortese.  Un ideale, direi, impossibile perché, a parte il fatto che di incantatori così servizievoli non se ne incontrano spesso, oggi come allora, è comunque probabile che, se monna Vanna e monna Lagia  non avranno avuto difficoltà ad accettare la compagnia di chi le aveva così lusinghevolmente raffigurate in versi, la ragazza cui pensava Dante, la numero trenta in classifica, si sarà certamente risentita assai più per le ventinove che la precedevano che non compiaciuta delle settanta che venivano dopo e, appena letto il sirventese, non avrà mancato di intimare al povero Alighieri di non farsi più vedere né in questo mondo né nell’altro.  Ma i poeti, si sa, non sono mai riusciti a capire le donne.

       Chi le donne riesce a capirle benissimo, per sua stessa, ripetuta dichiarazione, è l’ex Presidente del Consiglio, che spesso ha fatto discretamente intendere, in varie occasioni, anche pubbliche, di non avere mai avuto problemi con le signore e di non prevedere neanche di averne in futuro, nonostante quella che ha definito, non senza civetteria, perché gli anni li porta assai bene, un’età “avanzata”.   Sì che fa un po’ specie apprendere dalle sue labbra che, per una volta, anche lui si è lasciato tentare dal sogno di evasione di quel sonetto, in cui, dopo tutto, con gli amici e con le donne amate Dante si proponeva soltanto di “ragionare”, di parlare d’amore.   L’impressione che l’opinione pubblica aveva avuto, al contrario, era quella che il Cavaliere ai suoi tempi preferisse spingere la propria cavalleria un poco più in là.  Ma gli anni passati, se non hanno indebolito la sua fibra, hanno certamente modificato il suo modo di definirsi, di rapportarsi con il mondo.  Ormai Berlusconi è definitivamente un politico, e un politico italiano, per di più, e se c’è una cosa che contraddistingue i politici italiani è lo sconfinato amore per la parola, l’assoluta preferenza per il dire a discapito dell’agire.  I veri leader di questo paese – si è visto – sono molto più bravi a parlare delle proprie realizzazioni che non a realizzare concretamente qualcosa.  E se in questo il Nostro, come s’è visto, eccelle, è questo anche l’aspetto che lo rende, ahimè, simile ai suoi rivali, che quanto a capacità di produrre chiacchiere sono anch’essi di tutto rispetto.  Per gli uni e per l’altro, il vasello di Dante potrebbe davvero essere la destinazione adeguata.


28.05.’06