Paradossi finali

La caccia | Trasmessa il: 12/05/2010


    Paradossi finali

    Si potrebbe considerare un paradosso, da un certo punto di vista, il fatto che Mario Monicelli, il maestro indiscusso della commedia, colui che con la sua opera tante volte ci ha fatto ridere, abbia concluso così tragicamente la propria esistenza, suscitando – per di più – delle polemiche che ridere proprio non fanno. Ma è un paradosso apparente, che vale soltanto per quanti non hanno ancora capito come la vita umana non sia mai rigidamente orientata sulle polarità del comico e del tragico, ma comprenda e rimescoli entrambe le categorie, presentandosi, il più delle volte, come una tragicommedia riso luctuque plena, “piena di lutti e di risa”, come dicevano i moralisti antichi. Degli uomini sopravvivono, comunque, le opere e il ricordo delle loro azioni. Il dolore per la scomparsa del regista della Grande guerra e dei Soliti ignoti, così, viene in qualche misura contemperato dalla gratitudine per quello che ci ha dato e dalla consapevolezza che la tragicità della sua fine rappresenta, in definitiva, un atto di libertà. Ed è inutile ribattere che a chiunque si trovi nelle sue condizioni di libertà ne resta ben poca, perché, sempre, noi uomini siamo liberi per quanto ci permettono di esserlo le circostanze e anche questo, naturalmente, è uno dei paradossi della nostra esistenza.
    Non è d'accordo, però, la nota Paola Binetti. Quello di Monicelli, al dire della onorevole che porta il cilicio, come se le afflizioni che il suo Fattore ha destinato a noi tutti non fossero già sufficienti, è un atto di disperazione, “un gesto tremendo di solitudine, non di libertà”, e il punto di vista di chi ha espresso un parere diverso non è altro che “uno spot a favore dell'eutanasia”. Di simili perorazioni l'esponente del Movimento pro Vita si dichiara ormai stanca e non sono mancate altre voci in tal senso. Tra le tante, vale la pena di citare, per la sobrietà e il rispetto dell'altro che la contraddistingue, quella di Giovanni Reale, che in una breve intervista al “Corriere” dettata, significativamente, dalla Città del Vaticano, ricorda il Platone del Fedone, secondo il quale “la vita non è di tua proprietà, ti è stata data, solo il dio può decidere quando togliertela”.
    Ciascuno, naturalmente, ha il diritto di avere la propria opinione (e di cambiarla, come Platone, che, nella Repubblica, notoriamente cambiò la sua). Tuttavia, bisognerebbe sforzarsi di non confondere ciò che deve restare distinto. Il suicidio non è la stessa cosa dell'eutanasia. L'eutanasia è una prassi che prevede l'intervento di terzi e la disponibilità di certe strutture, un atto, per certi versi,
    pubblico, che in quanto tale va regolamentato e dei cui criteri si può e si deve discutere. Di fatto se ne è discusso parecchio, nonostante la tendenza clericale – di cui la Binetti, nel suo piccolo, è un ottimo esempio – di sostituire la discussione con l'anatema.
    Il suicidio, però, è un'altra cosa. Il suicidio è un atto privato per eccellenza, la scelta di un individuo posto in una situazione che lui, e non altri, considera insostenibile. La possibilità di una scelta siffatta non ammette casistiche né regolamentazioni. La possiamo persino considerare un diritto: l'unico diritto che il più feroce dei tiranni non potrà mai negare ai propri soggetti. E forse proprio il fatto che esista qualcosa che nessuno potrà mai vietare è quello che più irrita le Binetti di questo mondo e le spinge alle affermazioni più sconsiderate nei momenti meno opportuni.
    Pazienza. Della libertà di dire tutto quello che vogliono godono anche coloro che la libertà vogliono togliere agli altri. Ed è questo, forse, il più paradossale dei paradossi.
05.12.'10
    Nota

    Per i moralisti antichi cfr. Porfirio, Ad Marc. 5, ap. Stobeo, Flor., XXI, 28. Per Platone, Phaed. 62 a-c; Resp. 409 e-410 a. L'intervista a Giovanni Reale, di Gian Guido Vecchi, è apparsa nel “Corriere della sera” del 2.12 u.s. a pag. 13.