Non so se qualcuno ha pensato che quegli
otto manifestanti napoletani raggiunti da altrettanti (tardivi) avvisi
di garanzia potessero, in un certo qual modo, fare da contrappeso agli
otto poliziotti arrestati la settimana scorsa, tra le grida di scandalo
dei cittadini dabbene e dei politici del Polo. Personalmente, faccio
un po’ di fatica a crederci, anche se in Italia, ormai, si è capaci di
tutto e il fatto che il ministro Scajola, proprio il giorno prima, avesse
raccomandato di non fare passare il messaggio per cui “se sbaglia un esponente
delle forze dell’ordine si prendono provvedimenti, mentre se sbagliano
gli altri, quelli che scendono in piazza per fare violenza, non succede
nulla” possa insospettire un po’. Ma visto che il ministro, in
definitiva, si era limitato a enunciare un principio largamente condivisibile
e che nessuno tra i tanti improvvidi difensori degli agenti e dei funzionari
della questura partenopea aveva chiesto l’avvio di rappresaglie immediate
contro i no global, può essersi trattato davvero di una singolarissima
coincidenza.
D’altronde,
è difficile non pensare che il desiderio più vivo della classe politica
al gran completo fosse quello di chiudere in fretta una polemica incresciosa
per tutti. Nessuno, al governo o all’opposizione, ha dimostrato
un vero interesse a che su quella brutta faccenda si facesse davvero luce.
A sinistra, ci si è preoccupati, più che altro, di “non interferire”
e di “evitare le strumentalizzazioni” (Fassino) o di criticare il governo
per non aver “raffreddato”, ma “reso più incandescente” la “guerra
tra polizia e magistratura” (Rutelli). Gli uomini della destra,
per conto loro, hanno fatto mostra di difendere a gran voce la polizia,
anche quando la loro posizione istituzionale avrebbe dovuto raccomandargli
una qualche prudenza, ma non si sono spinti sul terreno infido dell’innocenza
o della colpevolezza degli accusati. Nessuno, lo avrete notato, si
è azzardato a sostenere che certe cose i nostri ragazzi indivisa non le
fanno mai e che le accuse nei loro confronti erano solo volgari calunnie.
Hanno preferito bombardarci di eufemismi suggestivi, di ovvietà roboanti
e di periodi accuratamente ipotetici, ricordandoci che se l’accusa non
trovasse riscontri sarebbe una cosa davvero grave (Fini) o che il principio
per cui chi sbaglia deve pagare vale tanto per i giudici quanto per la
polizia (Scaloja), per non dire delle affermazioni sulle caserme che non
sono convitti per educande e sugli scontri di piazza che non hanno niente
a che fare con un pranzo di gala, che suonano un po’ come la scoperta
del fatto che l’acqua dopo un po’ che sta al fuoco si scalda. Da
entrambe le parti, nel criticare i provvedimenti della magistratura, se
ne è fatto soprattutto una questione di opportunità, come se questo fosse
il criterio principe cui attenersi quando sono in gioco i diritti civili
e costituzionali dei cittadini. Tutti, in definitiva, hanno evitato
con cura di porre la domanda chiave, di chiedere, nell’ipotesi che quegli
orrendi episodi di rastrellamenti negli ospedali e di sevizie in caserma
siano davvero accaduti (del che non mi sembra, in sostanza, che abbia dubitato
nessuno), chi lo aveva ordinato e perché. Ed è strano, perché molti,
tra gli accusati, sostengono di avere eseguito solo gli ordini ricevuti,
e se a questo logoro argomento difensivo non si riconosce, ormai, un valore
esimente, vale sempre la pena di ricostruire le circostanze di fatto e
di risalire quanto più è possibile nella catena delle responsabilità.
Ma
forse è proprio questo il passo che nessuno ha davvero voglia di compiere,
perché al governo oggi ci sto io e domani, chissà, puoi esserci tu, ma
una polizia deresponsabilizzata e tacitata con la promessa di una sostanziale
impunità può far comodo a tutti e due. Nel qual caso, lasciatelo
dire a chi, come forse saprete, non ha mai avuto tutta quella fiducia nei
magistrati e i poliziotti li ammira soprattutto nelle serie televisive,
quegli otto questurini napoletani, quali che siano le loro responsabilità
personali, corrono concretamente il rischio di fare la fine dei capri espiatori,
in una situazione che li riguarda solo fino a un certo punto. Oltretutto,
da quei seri professionisti della pubblica sicurezza che dicono d’essere,
non dovrebbero ignorare che delle promesse di impunità bisogna fidarsi
solo fino a un certo punto. Se hanno davvero ricevuto degli ordini,
forse gli converrebbe sbrigarsi a dire da chi.
05.05.’02