Vi ricordate i bei tempi in cui, chiamando il 12, o un qualsiasi altro
numero dei servizi telefonici (i telegrammi, la sveglia, le informazioni…),
o semplicemente il centralino per fare un’interurbana, il peggio che ci
poteva capitare era trovare la linea occupata? Era un fatto seccante,
certo, comportava pomeriggi interi di tentativi ripetuti, irritava al punto
di spingere i più pacifici degli utenti a prendere a male parole l’innocente
signorina cui, alla fine, toccava rispondere, ma, se non altro, rientrava
in una logica binaria di facile comprensione. O la linea era libera
o era occupata e, se era occupava, si poteva ragionevolmente sperare che
presto o tardi si liberasse. Ora, da quando il progresso della tecnologia,
oltre a trasformare le signorine delle interurbane nella misteriosa genia
degli addetti al call center, ha aperto nuove possibilità di risposta
automatica interattiva, la situazione si è fatta parecchio più scabrosa.
Ogni volta che chiamiamo un centralino, della Telecom o di qualsiasi
altra organizzazione pubblica o privata, sappiamo già che ci attende
una ordalia di cui non sarà così facile venire a capo. Odiose voci
sintetizzate ci chiederanno con insistenza di qualificarci battendo sulla
tastiera strani numeri di codice, nonché di indicare in anticipo, premendo
questo o quel tasto, quale problema ci affligga e chi ci aspettiamo lo
possa risolvere e poi ci costringeranno ad ascoltare per interi quarti
d’ora delle musichette più o meno insulse (ma sempre incongrue), prima
che dall’auricolare ci giunga, invece della tanto auspicata voce dell’operatore,
il segnale di linea interrotta, che significa che bisogna ricominciare
tutto da capo e tanti auguri. Insomma un discreto casino, tanto più
che non è detto che tra le alternative che il meccanismo propone ci sia
proprio quella che interessa a chi chiama, e non basta, per consolarsi,
ripetersi che il progresso è il progresso ed esige da tutti una certa flessibilità.
Sappiamo bene che il progresso c’entra fino a un certo punto, perché
questo tipo d’innovazioni non si introduce per migliorare il servizio
– che infatti, normalmente, peggiora – ma solo per permettere alle aziende
di tagliare il personale e risparmiare sulle spese relative, con tutte
le conseguenze che la cosa comporta per il mercato del lavoro e la società
civile. Ma così va il mondo e, come in tante altre occasioni, bisogna
saper fare di necessità virtù.
Ma se i gestori
di questo genere di servizi hanno i loro motivi, non dovrebbe essercene
alcuno, tra questi, che li induca, con licenza parlando, a prendere per
il culo l’utenza, o, come si preferisce dire oggi, i clienti. Eppure
provate, se non lo fate da un po’, a chiamare il 187, il numero che corrisponde
– com’è noto – al “servizio clienti residenziali” di Telecom Italia.
Dopo un cortese messaggio di benvenuto seguito da un certo numero
di offerte pubblicitarie non richieste e dal consueto “menù” di scelta
tra le diverse opzioni proposte, la voce registrata vi informerà che “la
Sua chiamata sarà servita almeno tra 1 [o 2,3,4…] minuti”, invitandovi
a restare in linea E prima ancora che abbiate realizzato che l’espressione
significa semplicemente che l’attesa potrà durare in eterno, perché “almeno
due minuti” vuol dire solo che da due minuti in su è lecito tutto,
aggiungerà, in tono confidenziale: “Effettivamente c’è molto traffico
e gli operatori sono impegnati”. Ma niente paura, perché “abbiamo
ragione di ritenere che il primo operatore libero risponderà. Grazie.”
La presa
per il culo, ovviamente, consiste nel fatto che un messaggio semplicissimo,
il tradizionale “aspettate il vostro turno zitti e buoni” con cui autorità
e psdeudoautorità di ogni tipo accolgono i loro interlocutori, al telefono
o di persona, viene presentato in modo di dar l’impressione di significare
qualcosa d’altro. Sarete serviti in almeno due minuti, non siete
contenti? Cosa volete che siano due minuti? Il concetto sottinteso
è quello per cui solo un inguaribile rompicoglioni potrebbe stare a sottilizzare
sull’avverbio, osservando che tra “due minuti” e “almeno due minuti”
c’è la stessa (incommensurabile) differenza che passa tra un termine definito
e uno lasciato nel vago e che comunque loro, che sui misteri della moderna
telefonia sanno tutto, hanno “ragione di ritenere” che il primo operatore
libero risponderà. Certo che risponderà, porca l’oca, è lì per quello,
perché mai non dovrebbe rispondere, ma quell’ “abbiamo ragione di ritenere”,
comunque, è sufficientemente sfumato per non compromettere nessuno e, allo
stesso tempo, abbastanza autorevole per far passare il convincimento che
chi parla sa il fatto suo e sarebbe vano e futile protestare. Laggiù,
nelle alte sfere del 187, hanno ragione da ritenere che qualcuno risponderà,
anche se si guardano bene dal dirvi quando. Non prima, comunque,
di due minuti. Nel frattempo, gradisca pure, caro cliente, un po’
di pubblicità. Non ha mai pensato di moltiplicare la sua linea telefonica
con “Alice mia”? Per attivare il servizio non ha che comporre il
numero … eccetera.
Chi ha chiamato
perché deve traslocare la linea o ha bisogno urgente di un tecnico o per
qualche altro legittimo motivo non previsto dal “menù”, non può che ammirare
tanta soave improntitudine. Chiunque abbia steso quel testo, gli
vien fatto di pensare, è certo un genio della comunicazione, uno che ha
tratto profitto dalla lezione congiunta della casistica gesuitica e della
retorica classica e sa che certe ridondanze (abbiamo ragione di
ritenere; almeno due minuti) non sono affatto degli abbellimenti
superflui, ma possono cambiare interamente il senso di qanto si dice. Nella
fattispecie, hanno lo scopo di mascherare una reticenza, specificando una
informazione superflua per nascondere il fatto che non si fornisce quella
necessaria. Il che è possibile perché il senso dei messaggi è affidato
alla forma non meno che alla loro sostanza. E chi ascolta deve stare
sempre molto attento, perché c’è sempre chi di artifici del genere si
serve per esercitare, comunque, un potere di cui non intende rendere conto.
Esagero?
Dite che, in fondo, si tratta solo di un innocuo messaggio commerciale
su disco? Sarà, ma provate a riflettere su quanto pubblicamente dice
dei suoi oppositori politici il Presidente del Consiglio in carica (speriamo
ancora per poco), quando dice appunto di aver ragione di supporre delle
cose che, in definitiva, non sa e capirete che coniugando in modo opportuno
le reticenze e le ridondanze si può fare parecchia strada