Ordalie telefoniche

La caccia | Trasmessa il: 01/15/2006




Vi ricordate i bei tempi in cui, chiamando il 12, o un qualsiasi altro numero dei servizi telefonici (i telegrammi, la sveglia, le informazioni…), o semplicemente il centralino per fare un’interurbana, il peggio che ci poteva capitare era trovare la linea occupata?  Era un fatto seccante, certo, comportava pomeriggi interi di tentativi ripetuti, irritava al punto di spingere i più pacifici degli utenti a prendere a male parole l’innocente signorina cui, alla fine, toccava rispondere, ma, se non altro, rientrava in una logica binaria di facile comprensione.  O la linea era libera o era occupata e, se era occupava, si poteva ragionevolmente sperare che presto o tardi si liberasse.  Ora, da quando il progresso della tecnologia, oltre a trasformare le signorine delle interurbane nella misteriosa genia degli addetti al call center, ha aperto nuove possibilità di risposta automatica interattiva, la situazione si è fatta parecchio più scabrosa.  Ogni volta che chiamiamo un centralino, della Telecom o di qualsiasi altra organizzazione pubblica o privata,  sappiamo già che ci attende una ordalia di cui non sarà così facile venire a capo.  Odiose voci sintetizzate ci chiederanno con insistenza di qualificarci battendo sulla tastiera strani numeri di codice, nonché di indicare in anticipo, premendo questo o quel tasto, quale problema ci affligga e chi ci aspettiamo lo possa risolvere e poi ci costringeranno ad ascoltare per interi quarti d’ora delle musichette più o meno insulse (ma sempre incongrue), prima che dall’auricolare ci giunga, invece della tanto auspicata voce dell’operatore, il segnale di linea interrotta, che significa che bisogna ricominciare tutto da capo e tanti auguri.  Insomma un discreto casino, tanto più che non è detto che tra le alternative che il meccanismo propone ci sia proprio quella che interessa a chi chiama, e non basta, per consolarsi, ripetersi che il progresso è il progresso ed esige da tutti una certa flessibilità.  Sappiamo bene che il progresso c’entra fino a un certo punto, perché questo tipo d’innovazioni non si introduce per migliorare il servizio – che infatti, normalmente, peggiora – ma solo per permettere alle aziende di tagliare il personale e risparmiare sulle spese relative, con tutte le conseguenze che la cosa comporta per il mercato del lavoro e la società civile.   Ma così va il mondo e, come in tante altre occasioni, bisogna saper fare di necessità virtù.

        Ma se i gestori di questo genere di servizi hanno i loro motivi, non dovrebbe essercene alcuno, tra questi, che li induca, con licenza parlando, a prendere per il culo l’utenza, o, come si preferisce dire oggi, i clienti.  Eppure provate, se non lo fate da un po’, a chiamare il 187, il numero che corrisponde – com’è noto – al “servizio clienti residenziali” di Telecom Italia.  Dopo un cortese messaggio di benvenuto seguito da un certo numero di offerte pubblicitarie non richieste e dal consueto “menù” di scelta tra le diverse opzioni proposte, la voce registrata vi informerà che “la Sua chiamata sarà servita almeno tra 1 [o 2,3,4…] minuti”, invitandovi a restare in linea   E prima ancora che abbiate realizzato che l’espressione significa semplicemente che l’attesa potrà durare in eterno, perché “almeno due minuti” vuol dire solo che da due minuti in su è lecito tutto, aggiungerà, in tono confidenziale: “Effettivamente c’è molto traffico e gli operatori sono impegnati”.  Ma niente paura, perché “abbiamo ragione di ritenere che il primo operatore libero risponderà.  Grazie.”

        La presa per il culo, ovviamente, consiste nel fatto che un messaggio semplicissimo, il tradizionale “aspettate il vostro turno zitti e buoni” con cui autorità e psdeudoautorità di ogni tipo accolgono i loro interlocutori, al telefono o di persona, viene presentato in modo di dar l’impressione di significare qualcosa d’altro.  Sarete serviti in almeno due minuti, non siete contenti?  Cosa volete che siano due minuti?  Il concetto sottinteso è quello per cui solo un inguaribile rompicoglioni potrebbe stare a sottilizzare sull’avverbio, osservando che tra “due minuti” e “almeno due minuti” c’è la stessa (incommensurabile) differenza che passa tra un termine definito e uno lasciato nel vago e che comunque loro, che sui misteri della moderna telefonia sanno tutto, hanno “ragione di ritenere” che il primo operatore libero risponderà.  Certo che risponderà, porca l’oca, è lì per quello, perché mai non dovrebbe rispondere, ma quell’ “abbiamo ragione di ritenere”, comunque, è sufficientemente sfumato per non compromettere nessuno e, allo stesso tempo, abbastanza autorevole per far passare il convincimento che chi parla sa il fatto suo e sarebbe vano e futile protestare.  Laggiù, nelle alte sfere del 187, hanno ragione da ritenere che qualcuno risponderà, anche se si guardano bene dal dirvi quando.  Non prima, comunque, di due minuti.  Nel frattempo, gradisca pure, caro cliente, un po’ di pubblicità.  Non ha mai pensato di moltiplicare la sua linea telefonica con “Alice mia”?  Per attivare il servizio non ha che comporre il numero … eccetera.

        Chi ha chiamato perché deve traslocare la linea o ha bisogno urgente di un tecnico o per qualche altro legittimo motivo non previsto dal “menù”, non può che ammirare tanta soave improntitudine.  Chiunque abbia steso quel testo, gli vien fatto di pensare, è certo un genio della comunicazione, uno che ha tratto profitto dalla lezione congiunta della casistica gesuitica e della retorica classica e sa che certe ridondanze (abbiamo ragione di ritenere; almeno due minuti) non sono affatto degli abbellimenti superflui, ma possono cambiare interamente il senso di qanto si dice.  Nella fattispecie, hanno lo scopo di mascherare una reticenza, specificando una informazione superflua per nascondere il fatto che non si fornisce quella necessaria.  Il che è possibile perché il senso dei messaggi è affidato alla forma non meno che alla loro sostanza.  E chi ascolta deve stare sempre molto attento, perché c’è sempre chi di artifici del genere si serve per esercitare, comunque, un potere di cui non intende rendere conto.

        Esagero?  Dite che, in fondo, si tratta solo di un innocuo messaggio commerciale su disco?  Sarà, ma provate a riflettere su quanto pubblicamente dice dei suoi oppositori politici il Presidente del Consiglio in carica (speriamo ancora per poco), quando dice appunto di aver ragione di supporre delle cose che, in definitiva, non sa e capirete che coniugando in modo opportuno le reticenze e le ridondanze si può fare parecchia strada