Nuove tipologie

La caccia | Trasmessa il: 10/09/2011


    Nuove tipologie

    È una signora di mezza età: avrà, a occhio e croce, qualche anno meno di me. Magra, distinta, con i capelli grigi ben curati, vestita in stile informale, ma non senza una certa proprietà, con un paio di pantaloni beige di cotone e una t-shirt turchese, più o meno quello che indossano, in questa stagione, le signore che frequento io. In effetti, quando mi ha rivolto la parola, mentre scendevo dall'automobile appena parcheggiata, ho pensata che fosse qualcuna di mia conoscenza e che se non riuscivo a collegare il suo volto a un nome (come, detto tra di noi, mi capita sempre più spesso) era solo colpa mia. Il non riconoscere le facce di chi ti rivolge la parola con l'aria di sapere benissimo chi sei è uno degli indizi più certi di vecchiaia incombente.
    Invece, questa volta, no. La signora non è una vecchia amica dimenticata. È una sconosciuta che vuole comunicarmi qualcosa. Mi fissa negli occhi e dice “Io non rubo”.
    “Neanch'io” mi verrebbe voglia di risponderle, ma lei non me ne dà il tempo. “E nemmeno mi drogo” aggiunge. E prima che io faccia in tempo informarla che anche da questo punto di vista andiamo perfettamente d'accordo, conclude: “E non mangio. Non ho niente da mangiare. Per favore, mi dia qualcosa.” Ed è solo allora che mi rendo conto – con una sensazione, chissà perché, di vago imbarazzo – che la mia interlocutrice è una mendicante. Sta chiedendomi l'elemosina. Non ruba, non si droga, non mangia e ha bisogno di qualche euro.
    Di mendicanti, naturalmente, in una città in cui l'allargarsi della forbice tra ricchi e poveri sta incrementando con tanta spietata rapidità il disagio sociale, se ne incontrano sempre di più e non tutti si attengono al modello dell'omino lacero con la stampella che tende la mano all'angolo della strada o all'uscita dalla chiesa, con il quale, nei miei primi anni, identificavo quella figura. Oggi la mendicità è organizzata e ben distinta per tipologie. Ci sono le zingarelle tra le quali devo letteralmente farmi strada davanti al luogo di cura che periodicamente frequento, gli africani che vendono in strada accendini e strani oggetti di plastica colorata, o che offrono insistentemente giornali e riviste, gli anziani in giacca e maglione liso che bussano sul vetro del finestrino ai semafori e formulano la loro richiesta con accento dell'Europa Orientale, i superstiti dell'esercito di lavavetri che fino a qualche anno fa presidiava gli incroci stradali, i ragazzini di presumibile origine balcanica, con i vestiti stracciati e lo sguardo infelice... molti vengono, evidentemente, da “fuori”, rappresentano, per così dire, il grado zero della popolazione migrante, o appartengono a gruppi tradizionalmente organizzati per vivere negli interstizi della società produttiva. Ma la forbice si allarga sempre di più e nascono sempre nuove tipologie. Di signore distinte e propriamente vestite che dichiarano di non rubare e di non drogarsi non ne avevo mai incontrate. Certo, può darsi che questa rappresenti solo un caso isolato, ma nulla esclude che da domani le vie possano esserne piene. La vita, in città, è sempre più dura e chiunque è esposto al rischio di trovarsi, da un momento all'altro, sulla strada.
    È questo, d'altronde, che vuole comunicarmi la mia interlocutrice. La richiesta che mi rivolge è ideologicamente piuttosto articolata, ma non è difficile da decifrare. Nel suo “io non rubo” e “non mi drogo” è contenuta, mi sembra, una rivendicazione di normalità negata. Lei non è una zingara – ci tiene a sottolineare – né una immigrata. È una signora che ha sempre seguito le regole, che si è sempre attenuta al retto cammino della virtù standard, e se il destino la ha ridotta a tendere la mano per strada, questo non esclude un'appartenenza sociale più simile alla mia che a quella dell'accattone medio. Questo spiegherebbe, tra l'altro, l'attenzione all'acconciatura e alla proprietà del vestire: il contenuto della comunicazione, nel suo caso, non ha tanto a che fare con l'ostentazione della propria miseria, ma con la sua affermazione per contrasto, con una specie di non si direbbe – vero? – eppure anch'io...
    Si tratta, comunque, di supposizioni mie. Di questa povera donna non saprò mai se ha davvero elaborato una strategia di richiesta tanto complessa e, sia detto tra parentesi, così poco azzeccata con lo specifico interlocutore, perché io, per un motivo o per l'altro, alle signore distinte preferisco le zingarelle e i venditori di accendini. Ma per intanto me la trovo davanti e devo risolvere sui due piedi il solito problema che ci si pone in questi casi: devo darle qualcosa o no? È un dilemma che mi tormenta sempre e non solo perché nelle mie vene scorre il sangue di generazioni di liguri parsimoniosi. Il fatto è che ci sono molteplici motivi per non elargire alcunché: perché i postulanti sono spesso in malafede, imbroglioni e mentitori, membri di racket organizzati e simili; perché l'accattonaggio è comunque un comportamento antisociale che non va incoraggiato; perché contraddice l'etica corrente del lavoro e premia le tendenze parassitarie, con grave danno, a lungo andare, per lo stesso beneficato... insomma, non sono certo le giustificazioni che mancano. D'altro canto, c'è un motivo fondamentale per dare: la considerazione che nulla esclude che, per una volta, colui che chiede abbia davvero bisogno di un tuo contributo, che non abbia nessuna altra speranza che in te e bisogna essere ben duri di cuore per negargli anche quella. Per cui io finisco sempre, magari un po' a malincuore, per cacciare la lira, nella speranza che il fastidio per l'esborso, d'altronde modesto, sia compensato da un bagliore di gratitudine nello sguardo del percipiente.
    Questa volta, tuttavia, non c'è alcun bagliore. La signora esamina il mio obolo con espressione perplessa e mi chiede: “Non può darmi di più?” E di fronte al mio spontaneo ritrarsi, insiste: “Mi dia qualcosa di più, per pietà” (dice proprio “per pietà”) “Io non rubo, non mi drogo, non ho niente da mangiare, faccia uno sforzo e mi dia qualcosa di più”.
    Be', questo genere di insistenza tende a rafforzare i sospetti di professionismo, nel senso che è tipico di chi a tendere metaforicamente la mano è più che avvezzo e ben sa riconoscere i suoi polli. Tanto è vero che il pollo in questione da qualche altro euro finisce per separarsi e per di più con la vaga impressione di essersi lasciato prendere in qualche modo in giro. Ma non si può mai dire, naturalmente, ed è sempre meglio peccare per eccesso che per difetto, concedersi, per quei pochi soldi, una patente di generosità piuttosto che un attestato di meschineria. Ma chissà chi sbucherà, la prossima volta, dalle strade di questo popoloso deserto urbano. Ormai neanche delle signore distinte ci si può fidare.

    09.10.'11