Non c’è alcun motivo, ovviamente, perché
un governo debba essere composto da dodici ministri. È solo negli
Stati Uniti, se non mi sbaglio, che ci si accontenta di averne quattordici
e se in Svizzera il numero scende addirittura a sette, è anche vero che
quelli sono degli stati federali, e degli stati federali seri, nati dall’aggregazione
di realtà preesistenti, ciascuna delle quali ha devoluto a un potere centrale
un numero limitato di competenze, secondo una procedura che rappresenta,
per inciso, l’esatto contrario di quella che qui in Italia periodicamente
ci promettono di realizzare, senza peraltro decidersi mai a farlo. In
un paese come il nostro, con un governo dotato di poteri assai vasti, ahimè,
e articolati, le funzioni amministrative non si possono accorpare più di
tanto, a rischio di creare delle specie di megadicasteri destinati, nella
pratica, a scindersi in un certo numero di strutture minori sostanzialmente,
se non formalmente, autonome. Che i ministri debbano essere competenti
è un’ovvietà di cui spesso ci si dimentica, ma che debbano anche essere
pochi o pochissimi è una pretesa che, dal punto di vista di una sana amministrazione,
non sta sempre in piedi.
Ma
dire che i ministri debbano essere competenti, naturalmente, non significa
che debbano avere esperienza concreta delle varie attività cui i singoli
ministeri sovrintendono, non fosse che per il banale motivo che queste
attività sono tante e rispecchiano degli interessi spesso contrastanti.
Così, l’attività giudiziaria nel suo complesso, fa capo, nella sua
autonomia, al Ministero di Grazia e Giustizia, ma è noto che gli interessi
dei giudici non coincidono di necessità con quelli degli avvocati e dei
loro difesi, per cui un ministro, come si dice, “tecnico”, uno che abbia
esperienza di magistratura o di avvocatura, correrebbe il rischio di dimostrare,
più che una competenza particolare, una preoccupante parzialità. Da
tempo, in tutte le democrazie occidentali, si è giunti al tacito accordo
per cui di generali al Ministero della Difesa e di prefetti a quello dell’Interno
è meglio non metterne, né mi sembra risulti, nei nostri annali governativi,
il caso di coltivatori diretti promossi alla guida del Ministero dell’Agricoltura,
prima, s’intende, che esso ministero venisse abolito per referendum e
sostituito con quello, eminentemente diverso, delle Politiche Agricole.
La competenza che si richiede ai ministri è innanzitutto politica,
di orientamento generale, e in secondo luogo amministrativa, di puntuale
adempimento degli obblighi legislativi e di indispensabile coordinamento
dei molteplici interventi governativi nei vari campi della vita sociale.
Chi avesse, del suo campo, una visione dettata da un’esperienza
professionale, necessariamente limitata e presumibilmente distorta da interessi
specifici, non potrebbe certo dare ai cittadini la necessaria tranquillità.
Capirete anche voi che se il problema principale nel campo della
Sanità, tanto per dirne una, è quello del rapporto tra strutture pubbliche
e strutture private, la scelta di un eminente clinico che ha già optato,
professionalmente, per il privato non dovrebbe significare, per gli zelatori
degli interessi pubblici, nulla di buono. E viceversa, naturalmente,
anche se certi viceversa, chissà perché, non si realizzano mai.
Stando
così le cose, ammetterete che è strano che il primo peccato dell’attuale
governo, il suo peccato originale, per così dire, quello dal quale sono
rampollati a cascata tutti gli altri problemi che, voto di fiducia o non
voto di fiducia, lo affliggono e lo affliggeranno, sia stato identificato
da buona parte dell’opinione pubblica e dell’establishment politico nell’incapacità
del Presidente incaricato di ridurre il numero dei ministri. E che
la risposta di chi di dovere sia stata che sì, in effetti a meno di ventiquattro
ministri non si è potuti scendere, ma che, in compenso, ben due di essi
erano tecnici di chiara fama, luminari che di politica e di pubblica amministrazione
non ne hanno mai masticato, ma che molto si sono distinti sulle cattedre
universitarie e nelle sale operatorie.
È strano perché l’esigenza di avere
al governo meno gente possibile, e tra di essi quanti più “tecnici”,
nel senso di non politici, si riesca a metterci è un’esigenza che si spiega
solo come l’ovvio corollario di una radicale sfiducia nel mondo politico
nel suo complesso. Significa dire, plagiando inconsapevolmente il
generale Sherman, che il politico migliore è quello assente, e credere
che se proprio di un certo numero di ministri non si può fare a meno è
meglio penderli il più lontano possibile dalle aule parlamentari o dalle
file dei partiti. Il noto chirurgo, sui meriti del quale – s’intende
– non saprei pronunciarmi, e l’illustre glottologo, sulle cui competenze,
invece, qualcosina da dirvi l’avrei, ma non è questa la sede, e comunque
potete sempre andarvi a leggere quanto in tema di linguistica abbiamo scritto
e pubblicato io e l’Accame, in questa situazione sono assunti all’empireo
governativo per quel che non sono più che per quello che sono. Non
sono politici, appunto, il che porta il numero dei politici nel ministero
da ventiquattro a ventidue. Non saranno proprio i dodici che aveva
chiesto il buon Ciampi (che trae buona parte della sua declinante popolarità
dal fatto di essere anche lui un non politico anche se, per combinazione,
ha fatto il premier, il ministro e il Presidente della Repubblica), ma,
insomma, è già qualcosa.
Tutto questo, badate, non rappresenta
lo sberleffo di un’opinione pubblica qualunquista ormai radicalmente stomacata
da quanto succede in parlamento e al governo. Tutti questi bei complimenti
i nostri politici se li sono fatti da soli e da soli continuano a farseli.
Andate a rileggervi, se non ci credete, le dichiarazioni dei vari
leader e sottoleader.
Sa il cielo se la nostra classe politica,
nel suo complesso, non abbia accumulato abbastanza demeriti da giustificare
la più radicale diffidenza. Ma che questa diffidenza parti, anzitutto,
dalle sue stesse file, be’, questo è davvero preoccupanti. Se non
si fidano neanche di se stessi, come faranno a governarci? Facciamoci
forza, sarà un anno durissimo.
30.04.’00