In India non arrivano giornali italiani. Oh Dio, può darsi che nei
quartieri bene di Bombay o di New Delhi, quelli frequentati dai diplomatici
e dagli imprenditori europei, sia reperibile, a cercarla con cura, qualche
copia di “Repubblica” o del “Corriere della sera”, ma in giro proprio
non se ne vedono. Anzi, non si vedono giornali stranieri tout court.
C’è ovunque abbondanza, a prezzi assolutamente stracciati, di quotidiani
in inglese o in lingua locale, anche negli alberghi più scalcinati te ne
infilano sotto la porta uno in omaggio ogni mattina, ma sono tutti rigorosamente
made in India. E si occupano tutti rigorosamente soltanto dell’India.
La politica internazionale è rappresentata soltanto da qualche accenno
alle dispute di frontiera con il Pakistan sul Kashmir e alle tensioni diplomatiche
– oggi in via di risoluzione – con la Cina. Il resto del mondo
compare soltanto in minuscoli trafiletti, dedicati, in genere, alla questione
medio orientale, che dev’essere di un qualche interesse per la numerosa
comunità musulmana di quel paese. Persino l’insediamento di Bush
non ha meritato, sulla prima pagina dell’autorevole Times of India, altro
che una foto su due colonne con didascalia. Il resto del mondo compare
soltanto quando si svolge qualche importante incontro internazionale di
cricket e si limita, quindi, ai paesi cui l’imperialismo britannico ha
lasciato in eredità, oltre alla guida a sinistra, questo incomprensibile
sport.
Il viaggiatore (e che vi parla, come avrete
capito, ha viaggiato per le ultime tre settimane nell’India del Sud),
di primo acchito prova soltanto un senso di liberazione. Quali che
siano i motivi che l’hanno portato in quel paese remoto, nulla in quello
che vede attorno a sé suscita in lui la vaghezza di tenersi in contatto
con l’Italia. Qualche telefonata ai familiari, per assicurarsi che
la mamma stia bene, e un paio di e-mail con gli amici (visto che in India,
nella generale penuria di quasi ogni cosa, c’è una straordinaria abbondanza
di telefoni pubblici e di locali in cui chiunque, per poche rupie, può
sedersi di fronte a un computer e collegarsi con il proprio provider di
posta) bastano a esaurire il suo bisogno di comunicazione. Tanto,
si sa, sulla stampa italiana non si trova mai un granché, a parte – naturalmente
– le quotidiane esternazioni dell’onorevole Casini, e trovarsi in un
paese in cui dell’esistenza stessa dell’onorevole Casini non si ha alcuna
nozione non può che recare conforto. E poi di fronte ai problemi
che affliggono quotidianamente un miliardo di indiani, di fronte alla disperazione
e all’orgoglio, alla miseria e allo spreco e alle contraddizioni smisurate
in cui ci imbatte, anche senza volerlo, a ogni piè sospinto, le nostre
questioni nazionali sembrano stranamente futili. Sono problemi da
ricchi, polemiche da bambocci viziati. L’idea che si possa dedicare
un titolo di prima pagina al problema del consumo delle bistecche – come
mi si dice si sia fatto nel corso della mia assenza – è ovviamente incomprensibile
in un paese in cui, motivi religiosi a parte, la bistecca è un genere fuori
dalla portata del novantotto, novantanove per cento della popolazione.
Poi, naturalmente, con il passare del tempo,
qualche curiosità su cosa diavolo stia succedendo a casa insorge anche
nell’animo dei più ostinati. Ma visto che non si può soddisfarla
– perché ovviamente ci si vergogna un po’ a telefonare dal Tamil Nadu
e chiedere al proprio interlocutore se finalmente a Milano quelli dell’Ulivo
si sono messi d’accordo sul candidato sindaco – ci si mette l’animo
in pace. Anche se tutti, quando ti chiedono Where are you from e
tu rispondi From Italy fanno con la testa dei gran cenni di assenso e di
compiacimento, si capisce che, a parte quei pochi che sanno che è il paese
di origine di Sonia Gandhi, che quindi non dovrebbe essere eletta a nessuna
carica pubblica da nessun indiano dabbene, di cosa o dove sia l’Italia
hanno tutti un’idea fondamentalmente vaga. In altri paesi del Terzo
Mondo, s’intende, può capitare di imbattersi in ragazzini che ti recitano
compiaciuti le formazioni delle nostre principali squadre di calcio, ma
qui il calcio non interessa davvero a nessuno e in Italia, si sa, non giochiamo
a cricket. Per cui, niente.
Tuttavia, una notizia dall’Italia, in questi
ventidue giorni, sono riuscito a trovarla. Era un trafiletto in una
pagina interna del “Sunday Express” di Cochin, nel Kerala, giù in basso
a sinistra lungo la splendida costa del Malabar. Nel numero del 28
gennaio, un’edizione dedicata praticamente tutta alle notizie del catastrofico
terremoto del Gujarat, si poteva infatti leggere, sotto il titolo “Pat
on the bottom is not sexual harassment” (“una pacca sul sedere non è
una molestia sessuale”) come a Rome, Italy, la “corte di appello suprema”
(highest appeal court, che suppongo sia la Corte di Cassazione) avesse
assolto il manager di “un’agenzia della salute pubblica dell’Italia
del nord (?)” accusato di molestie da un’impiegata, considerando il gesto
in questione soltanto un caso isolato e impulsivo. In Italia, mi
dicono, la sentenza ha suscitato polemiche e controversie, ma il “Sunday
Express” non ne faceva cenno. Precisava soltanto che l’uomo “era
stato riconosciuto colpevole da un tribunale di primo grado, che lo aveva
condannato a 18 mesi di prigione e a una multa di 8 milioni di lire (pari
a 3.800 dollari), ma la sentenza era stata rovesciata in appello.” Otto
righe e un righino senza commenti, un bell’esempio di giornalismo essenziale.
Bah. Non mi sono mai preoccupato particolarmente
dell’immagine del nostro paese nel mondo, ma vi confesso che mi ha fatto
una certa qual impressione pensare che per un miliardo di indiani, o almeno
per gli abitanti del Kerala, che, toccando i trenta milioni, non sono poi
così pochi, l’Italia sia soltanto il posto in cui, purché d’impulso e
una volta tanto, è lecito rifilare una pacca sul sedere a una propria impiegata.
Ma, in fondo, ho riflettuto poi, che cos’altro di noi gli potrebbe
interessare? Le nostre incomprensibili distinzioni politiche o le
futilità di una società tanto incerta come la nostra sui propri valori?
In India sui valori non si è affatto incerti: sulle questioni religiose
e culturali, sull’antitesi tra tradizione e rinnovamento, ci si scontra
con un’energia persino eccessiva e a volte con una violenza che non si
penserebbe di incontrare nel paese del Mahatma. E per chi è quotidianamente
coinvolto nella disputa esistenziale tra monoteismo e politeismo, capirete,
le punture di spillo tra Berlusconi e Rutelli non possono interessare un
granché. In compenso, il tema delle molestie sessuali (una piaga
che affligge non poco, sembra, anche le donne indiane) gli interessa parecchio.
E sfido: è uno dei tanti problemi tipici di una società patriarcale
alle prese con la trasformazione dei ruoli maschili e femminili sul lavoro.
Che è poi una descrizione della società indiana che potrebbe attagliarsi
abbastanza bene alla nostra, perché con tutte le arie che ci diamo anche
noi siamo abbastanza vicini al Terzo Mondo da credere a certe gerarchie
e nel confidare su certi privilegi. Il che spiega come ci sia capitato
di dare ai nostri fratelli indiani, una volta tanto che si sono interessati
di noi, un cattivo esempio (Carlo Oliva).
04.02.’01