Normalità

La caccia | Trasmessa il: 05/14/2000





Massimo D’Alema, se ancora vi ricordate di lui, aveva, tra le sue molte ambizioni, quella di fare dell’Italia un “paese normale”.  Evidentemente, non c’è riuscito.  Non c’è nulla di normale, diciamocelo pure, in un paese in cui il problema politico principale, a tre settimane scarse da un’importante votazione, è quello di come cancellare dalle liste elettorali i nomi dei concittadini defunti e che dalla realizzazione di questo obiettivo fa dipendere non solo la stabilità del governo, ma anche la coesione della maggioranza e la credibilità dell’opposizione.   I morti, si sa, hanno sempre avuto un ruolo importante nella nostra storia elettorale: all’alba del suffrago universale, in età giolittiana, non soltanto figuravano nelle liste, ma votavano in massa, garantendo al governo quella stabilità e quella libertà di manovra che anche allora erano in tanti ad auspicare, ma, francamente, credevamo che il problema fosse superato.  E se la revisione degli elenchi relativi una volta era un fatto burocraticamente e operativamente complesso, che richiedeva parecchio lavoro impiegatizio e una certa scrupolosità organizzativa, per cui non la si poteva fare che una o due volte all’anno e chi c’era c’era e chi no no, oggi la tecnologia informatica dovrebbe aver semplificato non poco le procedure necessarie per cancellare, se non altro, i defunti, e qualsiasi governo normale, di destra o di sinistra, dovrebbe essere in grado di farlo senza costringere quella povera donna della Bonino, che ormai deve avere i suoi anni, a starnazzare nelle pubbliche piazze.   Ma il governo normale non è, il paese nemmeno e visto che cancellare i nomi dei morti non è poi così facile, qualcuno deve aver deciso che si poteva approfittare della situazione per cancellare anche un certo numero di nomi di vivi, magari perché irreperibili, come se l’irreperibilità anagrafica comportasse, tra le varie sue conseguenze, la perdita dei diritti civili.

      Un altro bel esempio di normalità, lo ammetterete, è il caso dello “sciopero bianco”, quello cui sono ricorsi, o avrebbero dovuto ricorrere, non ho capito bene, quei poveri martiri calunniati degli agenti di polizia penitenziaria.  Lo “sciopero bianco”, come saprete, si realizza quando i lavoratori in lotta si guardano bene dall’astenersi dal lavoro (in genere perché, per motivi di ordine pubblico o di pubblica necessità, ne sono impediti), ma esprimono la propria protesta applicando con scrupolo maniacale tutte le norme relative, il che comporta automaticamente il blocco completo dell’attività in questione.  Il che significa che i regolamenti, di norma, non vengono applicati, che, anzi, la loro applicazione è considerata nociva e pericolosa e che l’efficienza, in ultima analisi, si identifica con l’illegalità.  Il problema, s’intende, non riguarda soltanto gli agenti di custodia, anche se nel loro caso questa forma di protesta, risolvendosi in una vera e propria forma di vessazione a danno di soggetti già abbastanza disgraziati, risulta particolarmente sgradevole.  Il fatto è che quando qualcuno (doganieri, insegnanti, camionisti o chi altro) ricorre a questo singolare strumento di lotta, le reazioni dell’opinione pubblica possono essere le più varie, ma nessuno, a quanto mi risulta, ha mai eccepito che le regole, se ci sono, vanno rispettate comunque e che se esistono delle buone ragioni per non applicarle, tanto vale abolirle e non pensarci più. In un paese normale, in effetti, di “scioperi bianchi” se ne potrebbe fare al massimo uno: subito dopo chi di dovere provvederebbe a far piazza pulita di un insieme di normative che, ben lungi dal regolare il corretto svolgimento delle varie attività pubbliche, se applicate lo bloccano.

       E se qualcuno si chiedesse che cosa mai c’entrano l’uno con l’altra lo “sciopero bianco” e la (mancata) revisione delle liste elettorali, be’, non ci vuole poi molto per identificare l’elemento che unifica entrambe le pratiche.  Sono tutte e due la conseguenza di una diffusa situazione d’arbitrio.  L’amministrazione dovrebbe tenere aggiornati gli elenchi dei morti e dei vivi, certo, ma non lo fa, perché non sempre disporre di un elenco aggiornato rientra negli interessi di chi detiene il potere.  E le norme che regolano lo svolgimento dei servizi pubblici dovrebbero essere fatte rispettare se utili, o abolite se dannose, ma è molto più conveniente tenerle in un limbo da cui farle emergere o meno, a seconda di quanto conviene alla propria parte.  C’è chi le regole le deve rispettare tutte, senza eccezione, perché se sgarra di un millimetro lo mazzolano immediatamente, e chi, beato lui, può permettersi di scegliere caso per caso: questa sì, perché mi va bene, questa è meglio lasciarla da parte, poi vedremo con calma.  Il nostro è un paese di normale ineguaglianza e questo, probabilmente, è il suo guaio maggiore.


14.05.’00