Morte di un imputato

La caccia | Trasmessa il: 03/19/2006




Non mi sembra che l’opinione pubblica internazionale sia stata colpita più che tanto dalla scomparsa di Slobodan Milosevic.  Di fatto, non ce n’era motivo.  L’ex presidente jugoslavo aveva fatto parlare molto di sé, ma oggi era, sotto tutti gli aspetti, un sopravvissuto.  Il processo in cui era imputato davanti alla corte internazionale dell’Aja si era impantanato da tempo e anche i pochi che ci avevano creduto all’inizio si erano resi conto che da quella sede era vano aspettarsi una definizione qualsiasi delle responsabilità del massacro balcanico.   Le autorità di quel tribunale e quelle del connesso carcere di Scheveningen hanno superato con impeccabile cinismo l’imbarazzo di chi si vede morire tra le mani un imputato eccellente e non c’è stato neanche bisogno di portare avanti la trama, che pure qualche volonteroso aveva suggerito, di un suicidio più o meno volontario, magari compiuto grazie alla complicità degli avvocati secondo il vecchio e sperimentato modello Stammhein.   C’è stata, sì, qualche protesta a Mosca, a Belgrado e in posti del genere e non devono essere stati pochi i cittadini serbi che hanno avuto l’impressione di aver subito una qualche ingiustizia, ma, nel complesso, ha prevalso il silenzio.   Il capitolo è chiuso ed è molto probabile che, nonostante le dichiarazioni di questi giorni, presto chiuderà anche il tribunale.

       Il fatto è che di Milosevic si parla malvolentieri.  Non era un personaggio simpatico.  Non poteva esserlo, a prescindere dalle colpe che avrà sicuramente avuto nella crisi finale del suo paese, per il modo stesso in cui era stata costruita la sua immagine pubblica nei paesi occidentali.  È stato, in un certo senso, l’ultimo epigono di una lunga serie di “tiranni” internazionali, di quegli esemplari di iniquità cui era così comodo addebitare in blocco le sofferenze dei rispettivi popoli e che sono fioriti negli ultimi decenni del secolo scorso in larga parte del mondo sottosviluppato.  Ha rappresentato, giornalisticamente parlando, una specie di variante europea alla genia dei Bokassa, degli Amin Dada, dei Pol Pot (la stessa, in fondo, che sarebbe stata riproposta più tardi con il personaggio di Saddam Hussein): tutta gente che ai tempi loro è stata utilmente additata all’esecrazione universale e caricata di ogni genere di accuse e responsabilità, per poi confondersi sullo sfondo e svanire nel nulla una volta esaurita la propria funzione.  Che è sempre stata, in sostanza, quella di rendere il più difficile possibile ogni tentativo di ragionare sulle responsabilità di tutt’altri personaggi e tutt’altri governi.

La logica dell’operazione, in definitiva, è fin troppo nota: è quella per cui la messa in risalto  delle nefandezze dei vari dittatori africani e asiatici serviva a spostare in secondo piano le molte colpe del colonialismo e, se mi permettete di recuperare oggi un termine così fuori moda, dell’imperialismo.  Anche in Jugoslavia, tutto considerato, c’era molto bisogno di un “cattivo”, di qualcuno che si potesse maledire prima e poi catturare e mettere sotto processo.  E se poi il processo, per un motivo o per l’altro (morte dell’imputato inclusa) non si fosse potuto portare a termine, tanto meglio, visto che cerimonie del genere, per quanto prudentemente siano organizzate, comportano comunque dei rischi e le sentenze migliori, dal punto di vista di chi le organizza, sono quelle che si pronunciano prima del dibattimento.  

Tutto ciò, come è ovvio, non esonera né Milosevic né gli altri summenzionati figuri dalle loro personali responsabilità, ma non è questo il problema.  In fondo, per quante ne abbia combinate non è stato certamente lui da solo a scatenare il nazionalismo nel suo paese e a mandare in pezzi il vecchio equilibrio jugoslavo.  Che era fragile e precario di suo, ma se non altro funzionava meglio di quanto è venuto dopo e comunque metteva in campo una serie di valori interessanti – il tentativo di far convivere in pace e solidarietà più popoli divisi tra loro da vecchie inimicizie, la ricerca di una formula originale di autogestione dell’economia, il rifiuto della logica internazionale dei blocchi contrapposti – la cui sdegnosa eliminazione non ha certo portato fortuna al paese.   Dal cui smembramento, figuriamoci, qualcuno ci avrà guadagnato di certo, per cui è ragionevole presumere che sia stato quel qualcuno a promuoverlo.  Il governo tedesco, per esempio, ci aveva i suoi bravi interessi e la chiesa cattolica anche.  Ma non sono stati i loro esponenti, naturalmente, a finire sotto processo.


19.03.’06