Morte a Firenze | Marco Vichi

Gialloliva | Trasmessa il: 12/14/2009


    Del romanzo che ha vinto, mercoledì scorso, l'ultima edizione del Premio Scerbanenco avevamo parlato di sfuggita in sede di presentazione della rubrica: è giusto, adesso, dedicargli una recensione vera e propria. D'altronde, Morte a Firenze di Marco Vichi, era uscito all'inizio dell'estate, un periodo che gli editori considerano particolarmente propizio per quello che continuano a vedere come un genere di pura evasione, ma in cui l'attenzione critica è, come dire, un po' allentata e pochi, in effetti, finora ne hanno parlato.
    Vichi, si sa, è restato legato negli anni a un personaggio che oggi non si può non considerare un po' inflazionato: quello del commissario dal volto umano, con tutti i tratti distintivi e i manierismi cui sopratutto la televisione ci ha abituato, dalle difficoltà con i superiori alle grane con le donne, dai problemi di salute al rapporto privilegiato con una “spalla” dai tratti vagamente comici. Bisogna dire, però, che il suo eroe, che risponde al cognome un po' imbarazzante di Bordelli, è tratteggiato con maggiore delicatezza della media, sfumando le caratteristiche del prototipo in un'analisi psicologica più intensa di quanto di solito capiti ed evitando come la peste ogni tentazione macchiettistica. E poi ha un suo preciso sottofondo ideologico: antifascista convinto, ex partigiano, è dotato di una sua ruvidità popolare, se non proletaria, che non ne fa certo il beniamino dei piani alti della Questura.
    Bordelli opera a Firenze negli anni '60 e in questa sua ultima avventura si fa cogliere – impreparato, come gran parte dei suoi concittadini e degli italiani tutti – dalla grande alluvione del 1966. Ma nella città inondata dalle acque e abbandonata a se stessa, pur senza sottrarsi all'obbligo di prestare aiuto a chi ne ha bisogno, continua ostinatamente a seguire, sporco, stanco e infangato com'è, un'indagine che non gli dà requie: la ricerca dei responsabili di un rapimento e omicidio a scopo pedofilia, che scoprirà, alla fine, piuttosto compromessi anche sul piano politico. Si tratta del tipico caso che chiunque altro preferirebbe lasciar cadere, visto che più che complicazioni è difficile che ne derivino, ma lui non molla. E Bordelli non è, come tanti altri altri commissari della narrativa, uno che si affidi soprattutto all'empatia o all'intuizione: è uno che si affida al lavoro duro e tenace, alle regole di una routine quasi artigianale e, in questo senso, molto fiorentina. Chi già conosce le storie di Vichi sa che non prevedono, di solito, un lieto fine convenzionale, ma per autore e personaggio la ricerca della verità è fine a se stessa. Un bel romanzo e un premio del tutto meritato.

    14.12.'09
    Marco Vichi, Morte a Firenze, "I narratori della Fenice" – Guanda, pp. 345, € 17,00