Miracoli dell'ottimismo

La caccia | Trasmessa il: 04/14/2002



Fa quasi tenerezza ritrovare sui giornali di questi giorni, gonfi di clamori di guerra e di strage, appesantiti dalle parole arroganti di personaggi esecrabili e di pretenziosi vaniloqui spacciati per opinioni autorevoli, fa quasi tenerezza – dicevo – ritrovare le innocue smargiassate del nostro Presidente de Consiglio, quello che un giorno si vanta di essere sul punto di operare un “cambiamento titanico” dell’apparato statale e un altro si gloria di aver messo finalmente pace, con la sola forza della sua dinamica personalità, tra la Russia e la Nato.  E che si lamenta solo perché “certa stampa” ha l’abitudine di “cogliere qualunque possibilità per una critica” e per “eventualmente citare una possibile gaffe” che lui, come ci assicura egli stesso, abitualmente non fa.  Eppure non dovrebbe volerci molto per rendersi conto che l’unica speranza per il paese consiste in una sua lunga, lunghissima permanenza al governo.  Il fatto che la macchina dello stato sia così disastrata, per dirne una, si spiega semplicemente perché “ci sono stati cinquanta governi in cinquant’anni” (veramente, la citazione esatta dice “in cinque”, ma sarà un errore di stampa) e “anche perché la sinistra è arretrata.”
        No.  Non chiedetevi cosa c’entri l’arretratezza della sinistra con il fatto che l’Italia abbia avuto, in mezzo secolo, cinquanta governi.  Lui, Berlusconi, non è ancora riuscito a convincersi del fatto che di tutti quei governi la sinistra, se vogliamo continuare a chiamarla così, ne ha gestito esattamente tre e gli altri quarantasette sono stati tutti appannaggio di forze i cui sostenitori hanno trovato sicuro approdo nel suo partito.  A queste banalità non è solito prestare attenzione.  L’Italia ha avuto cinquanta governi e la sinistra è arretrata, punto e basta.  Un rapporto ci sarà bene e basta saperlo trovare.  “Vi invito a riflettere” continua infatti il Berlusca “sul fatto che ancora non credono” (quelli di sinistra, ovviamente) “a questo miracolo, per cui le leggi e le regole del mercato sanno trasformare gli egoismi individuali in benessere generale.  È una cosa che non riescono a capire”.  E per lo stesso motivo la sinistra guarda “con sospetto se non con avversione” a tutto ciò che è privato: “dalla scuola privata, all’università privata, alla proprietà privata.”
        Non si tratta, ve lo assicuro, di una parodia per la quale, d’altronde, non sarei qualificato.  Tutte queste dichiarazioni sono state rese dal Presidente in persona alla Consulta del suo partito, riunitasi, come riferisce la “Repubblica” di giovedì scorso, a Palazzo Colonna, a Roma, un gran bel palazzo, come non ha mancato di rilevare il capo del governo, un palazzo in confronto al quale tutte le pur sontuose abitazioni in cui egli è solito dimorare sembrano delle semplici portinerie, anche perché sono sprovviste di un fantasma di famiglia, mentre tutte le vecchie dimore dovrebbero averne uno “magari quello della nonna che sapeva fare i dolci”.  E se credete che mescolare nello stesso discorso il fantasma della nonna dolciaria, il risanamento titanico del paese e l’arretratezza cronica della sinistra sia un sintomo pericoloso di confusione mentale, vuol dire che non capite niente di strategia della comunicazione.  Una barzellettina qua, una battutina là e si fanno passare dei concetti che, nudi e crudi, potrebbero suscitare le riserve dei più creduloni.  Come quello de “miracolo” che trasforma l’interesse personale in benessere per tutti.
        Oh Dio, che l’egoismo dei singoli sia, in ultima analisi, alla base del progresso e – quindi – di un miglioramento della società tutta non è un’invenzione del mago di Arcore.  È un vecchio postulato dell’utilitarismo illuminista, e ha fatto scorrere, a suo tempo, fiumi di inchiostro.  Mi sembra di ricordare, per esempio, che ne abbia trattato diffusamente Pietro Verri sul “Caffè”.  Ma lui, poveretto, scriveva ai primissimi albori della società industriale e poteva ancora credere che bastasse ampliare i consumi per portare la felicità in terra.  Noi, dopo aver visto come è stato ridotto il pianeta dall’applicazione sconsiderata delle leggi del profitto e del mercato, avremmo il dovere di essere un po’ più cauti.  E d’altronde, già a quei tempi non ci credevano tutti: basta andare a rileggersi il Candide di Voltaire, che di questo ottimismo sociale rappresenta al tempo stesso una critica spietata e una feroce parodia.  Per il dottor Pangloss, com’è noto, ci si poteva consolare di tutto, dell’essere stato scacciato a calci nel sedere da un bel castello, dell’essere stato sottomesso all’Inquisizione, dell’aver percorso a piedi l’America e dell’aver perso tutti i montoni carichi dei tesori dell’Eldorado, perché laggiù nel Bosforo remoto, dove lui e i suoi amici erano finiti, il lavoro assiduo e paziente permetteva di mangiare cedri canditi e pistacchi.  Ma Berlusconi, naturalmente, con il dottor Pangloss non ha nulla a che fare.  Lui a coltivare il proprio giardino non ci pensa nemmeno.  Se lo fa coltivare dagli altri e, grazie al meccanismo del plusvalore, i cedri canditi e i pistacchi se li sbafa alla faccia loro.  Per forza che è tanto ottimista.

14.04.’02