Non si è sforzato troppo, l’ex ministro Tramonti, quando,
in una delle sue frequenti esternazioni (l’ho trovato citata sul “Corriere”
dell’altro ieri), ha dichiarato che, mentre alla sinistra piacciono soprattutto
gli involtini primavera e il cuscus, la destra predilige di gran lunga
gli spaghetti e la pizza. Tanto per cominciare, ha detto cosa non
vera, perché conosco fior di democratici di provata fede che a togliergli
la pizza diventano delle belve, e, comunque, se, piccandosi, come si picca,
di essere un uomo spiritoso (chissà perché), voleva riprendere il vecchio
tormentone anni ’80 del cosa è di destra e cosa di sinistra, be’, la
mossa di identificare la destra con l’ossequio alla tradizione nazionale
e la sinistra con il gusto cosmopolita dell’esotico è francamente banale.
La metafora, se di metafora si tratta, è troppo ovvia per essere
interessante.
Bene ha fatto, dunque,
il nuovo leader del riformismo italiano, l’onorevole Bertinotti, a non
impancarsi in ulteriori attribuzioni di significato, limitandosi a ribattere
che a lui piace la paniscia. Si tratta, come certo saprete, di una
sorta di risotto (o di minestrone denso) con verza, fagioli e l’occasionale
aggiunta di altre verdure, ed essendo una vivanda tipica di quella terra
tra il Sesia e il Ticino in cui Piemonte e Lombardia si confondono, non
può che far risuonare una corda sentimentale nell’animo di un milanese
vissuto a Torino, come è appunto il segretario di Rifondazione, che, d’altronde,
nella rivalutazione del territorio vede un antidoto ai pericoli della globalizzazione.
Ma soprattutto (credete a chi, come me, vanta anche lui qualche ascendenza
da quelle parti) è un piatto di rara squisitezza, il cui consumo non può
che fare del bene a chiunque. Sì, certo, nella versione originale,
come la preparava mia nonna, si prevedeva l’uso del lardo in quantità
tale da sgomentare chi avesse dei problemi di colesterolo, ma la globalizzazione,
pur con tutti i pericoli che comporta, ha, se non altro, il merito di aver
fatto conoscere anche in Lomellina l’olio extravergine, permettendo ai
cuochi locali di perseguire quel sapiente equilibrio tra passato e presente
in cui, a prescindere da qualsiasi problema di appartenenza politica, si
sostanzia il fascino dell’alta cucina.
E poi, prima di parlare,
bisogna informarsi. Se Tremonti avesse esperito le necessarie
indagini, avrebbe scoperto che gli involtini primavera sono, sì, una specialità
cinese, ma li hanno elaborati, così come li conosciamo, i ristoratori cantonesi
operanti in Europa, per cui ben poco di esotico, in definitiva, possono
esprimere. E il cuscus, anche se un politico di origini valtellinesi
è autorizzato a non saperlo, si è acclimato da secoli in Sicilia, tanto
da poter essere considerato senza problemi una specialità nazionale. Gli
spaghetti, come ognun sa, ce li ha portati Marco Polo dalle sue peregrinazioni
in Catai e quanto alla pizza, almeno nella versione con la mozzarella,
è stata inventata a fine ‘800 da un artigiano desideroso di rendere omaggio
alla regina Margherita in visita a Napoli: va considerata, dunque, una
innovazione recente, estranea alla vera tradizione partenopea. In
campo gastronomico, come in tutti gli altri, tradizione e innovazione sono
meno distinte tra loro di quanto non si pensi di solito, ma si intersecano
e si confondono in mille nodi e – ancora una volta – la possibilità di
distinguerle dipende esclusivamente dai criteri che adotta l’osservatore.
Peccato che, in questa
elegante schermaglia metodologica, Bertinotti abbia voluto stravincere,
citando Braudel, per cui, sembra, “spaghetti, cuscus e risotti sono cibi
di contaminazione mediterranea”, il che dovrebbe renderli, pare, ancora
più appetibili di quanto non siano di per sé. È vero, probabilmente,
anche se bisogna lavorarci parecchio per identificare gli elementi mediterranei
della paniscia, in cui i fagioli vengono dall’America, il riso dall’Estremo
Oriente e la verza dall’Europa centrale, ma sposta il discorso su un piano
inutilmente erudito, complicando una criteriologia che stava in piedi benissimo
anche prima. Tremonti gli ha risposto, un po’ fiaccamente, che non
vede quale contaminazione possa esserci tra la paniscia e gli involtini
primavera. Vista la rapidità e l’imprevedibilità con cui avvengono
gli incroci di questo tipo, fossi in lui, prima di compromettermi ci avrei
pensato due volte.
03.04.’05