Magheirikè téchne

La caccia | Trasmessa il: 02/28/1999






Non so se vi sia mai capitato di seguire, intenzionalmente o per caso, una trasmissione televisiva di culinaria pratica, una di quelle trasmissioni – cioè – in cui, per la supposta gioia delle massaie in ascolto e delle loro famiglie, si mandano in onda ricette di piatti prelibati e le istruzioni per confezionarli. A me, per motivi non strettamente dipendenti della mia volontà, capita ogni tanto di assistere a quella che va in onda a RAI 1 un po’ prima del mezzodì di tutti i giorni feriali, ma mi sembra di aver capito che il modello, con le opportune varianti, è ripetuto in altri canali e altre reti.  E anche se voi, personalmente, soffrite di anoressia perniciosa, o mangiate sempre al ristorante, o non sareste in grado, comunque, di cucinare un uovo à la coque senza produrre immani disastri, vi assicuro che non dovreste privarvi del piacere di visionarne una ogni tanto.

Lo spettacolo, per cominciare, è assolutamente affascinante.  Si apre, di solito, con la visione di un banco carico di ogni coloratissimo ben di Dio, dietro il quale sono allineati, sorridenti e impeccabili nelle loro livree immacolate due o più cuochi di ambo i sessi, professionisti, in genere, che si sono conquistati i galloni nei più rinomati ristoranti del paese.  Accanto a loro, a fungere da tramite con la platea virtuale dei cucinatori in pectore, si agitano i conduttori della trasmissione, che sono, immancabilmente, una scemetta e uno scemotto (e vi assicuro che non intendo offendere nessuno, perché so che può darsi benissimo che i due professionisti in questione siano, nella vita di tutti i giorni, persone di alto sentire e dall’intelligenza affilata come un rasoio, ma lì, non c’è santi, devono fare lo scemotto e la scemetta, per cui mi permetto, per comodità, di chiamarli così).   E dopo un rapido scambio di convenevoli, tanto per far capire ai telespettatori che i tipi in grembiule e cappello bianco non sono gli ultimi arrivati, ma gente che nel loro campo conta non poco, si passa alle ricette.

“Dunque” chiede la scemetta tutta allegra, “che cosa ci prepara di buono oggi?”  “Be’” risponde il cuoco, o la cuoca, di turno.  “Oggi abbiamo pensato di fare il timballo di verdura alla salsa Mornay con le capesante.”  “Oh, che bello” commenta la scemetta, con una risatina a trillo, “ma sarà tremendamente difficile.”  “Macché,” la tranquillizza il cuoco “non c’è niente di più facile”.   Poi impugna gli strumenti del mestiere e comincia la dimostrazione.

“Vede” dice il cuoco, “per prima prepariamo il solito impasto con uova, farina, burro e un po’ d’acqua” e mostra un bel pane di pasta giallo oro che riposa sotto un tovagliolo ripiegato.  “Lo tiriamo bene sottile sottile” (e maneggia un paio di volte il mattarello per far capire come procedere) “e ne ricaviamo una sfoglia con la quale foderiamo una tortiera ovale”.  Ed ecco che davanti alla telecamera si materializza una splendida tortiera ovale di porcellana immacolata perfettamente foderata di sfoglia.  “Poi prendiamo un po’ di verdura, broccoli, piselli, patate, carotine, cuori di carciofo, radicchio rosso, fagiolini, insomma quello che c’è, e la mettiamo nella tortiera”.  “Così com’è?” chiede la scemetta.  “No” spiega paziente il cuoco: “prima la si fa saltare con un po’ di burro.”  E la telecamera zooma in primo piano su una padella di rame in cui le verdure accuratamente tagliate a dadi stanno già rosolando che è un piacere.  “Che profumino” chiosa lo scemotto estasiato, “perché non insegnate a mia suocere come si fa?”  “Ma è facilissimo” dice il cuoco: “basta far andare tutto a fuoco lento lento.  Intanto prepariamo una besciamella, la solita besciamella con latte, burro, farina e, magari, un pizzico di noce moscata” (zoomata su una pignattella di besciamella pronta da una parte), vi incorporiamo due uova e un po’ di parmigiano grattugiato…”  “Va bene solo il parmigiano o si può usare anche dell’altro formaggio da grattugiare?” chiede lo scemotto, per sentirsi rispondere che no, va bene qualsiasi tipo di grana, al che commenta che lì in trasmissione non si vuol fare pubblicità a nessuno.  Poi il cuoco, sempre seguito da una telecamera che mostra in primo piano i risultati del suo operare, assume decisamente il comando. “Adesso” spiega “travasiamo le verdure nella teglia, facciamo aprire le capesante su fuoco vivace, ne filtriamo l’acqua con un panno fine, la passiamo in un pentolino, la facciamo ridurre alla metà circa, la aromatizziamo con cerfoglio, dragoncello e un mezzo cucchiaino di zenzero fresco grattugiato, irroriamo le verdure, disponiamo le capesante in superficie, versiamo la besciamella, inforniamo  a calore moderato ed ecco fatto” ed estrae dal forno uno splendido timballo dorato, ne taglia una fetta, la colloca su un piatto e la porge alla scemetta che commenta “Uhm…  che fame” e ride tutta contenta, mentre lo scemotto finge di rubare un pezzetto del piatto cucinato e se lo porta alla bocca con esagerate manifestazioni di entusiasmo.

     Non badate alla ricetta, che non credo di aver riportato alla lettera e poi è solo un esempio come un altro.  Il fatto è che lui, in quattro minuti e quindici secondi, apparentemente ha preparato una pietanza di spaventosa difficoltà e lo ha fatto con tanta disinvoltura che chiunque, per un momento, ha pensato di essere in grado di seguirne l’esempio.  Naturalmente tu sai benissimo che la vita, di solito, è molto più dura, che ciascuna delle operazioni che lui sbriga con una frase e una zoomata in primo piano a te richiederebbe tre quarti d’ora di applicazione intensa con esito imprevedibile, che si fa presto a dire “prepariamo una besciamella” o “facciamo aprire le capesante”, ma in concreto non è così facile, che lo zenzero grattugiato non è cosa di cui si disponga abitualmente e che tutte le pentole, pentoline pignatte e pignattelle che lui ha utilizzato con tanta disinvoltura ingorgherebbero la tua lavastoviglie per settimane.  Ma perché protestare?  La culinaria, in teoria, è quella che i greci chiamavano una téchne, un’attività insegnabile agli altri mediante una serie di istruzioni operative possibilmente univoche, ma in televisione nessuno ci chiede di eseguire davvero quelle operazioni lì.  Anzi, a pensarci bene, nessuno, dal teleschermo, ci chiede mai di eseguire un’operazione qualsiasi, salvo starcene zitti e buoni.  Quella trasmissione, in sostanza, ha lo stesso contenuto operativo di un telefilm: permette all’utente di immedesimarsi in personaggi che agiscono in un mondo migliore e più appetibile di quello in cui ci si trova ad arrabattarsi.   Sì, sarebbe bello, domani, preparare il timballo di verdure con le capesante come fanno quei bravissimi cuochi e mangiarselo con la soddisfazione che esprimono, pur in quel loro modo lezioso, la scemetta e lo scemotto, che, poverini, non è colpa loro se non sono dei geni, ma sono tanto simpatici.  Ma sai benissimo che non ci riuscirai mai, anche se nell’illuderti di riuscirci hai colto un briciolo di momentanea consolazione.

     E naturalmente lo sanno anche loro, tanto è vero che subito dopo la ricetta sceneggiata mandano in onda lo spot dei sofficini.

28.02.’99