Maggioranze

La caccia | Trasmessa il: 12/19/1999



L’altro giorno ho letto sui giornali che il senatore Cossiga –  per motivi che, in tutta franchezza, mi sono sfuggiti –  aveva deciso di abbandonare la maggioranza.  Me ne sono preoccupato moltissimo.  E non perché temessi particolarmente la prospettiva di una maggioranza senza Cossiga (un’ipotesi che, al contrario, mi sembrava e mi sembra piuttosto allettante): a mettermi alquanto a disagio era l’idea di che cosa avrebbe potuto fare Cossiga senza una maggioranza.  Chi è fuori dalla maggioranza, in un sistema democratico, di solito sta all’opposizione e il senatore, in tutta la sua carriera, all’opposizione non c’è stato mai e non ha mai dato segno della minima disposizione a volerci stare.  Quando, dopo il terremoto elettorale del ’94, gli altri democristiani hanno dovuto scegliere, obtorto collo, tra Berlusconi e D’Alema, lui si è sottratto a una scelta tanto volgare e ha appoggiato, senza fare una piega, prima l’uno e poi l’altro. E non certo per trasformismo: il fatto è che un uomo del suo stampo non sopporta l’idea di stare all’opposizione.  Lui l’opposizione non la concepisce neanche, la considera uno status che non giova né a sé né al paese e pur di evitarlo è pronto a tutto.
E quando dico tutto intendo dire proprio tutto.  Non avrete dimenticato, spero, che attorno agli anni ’60 era proprio il futuro senatore a dedicarsi con zelo al difficile compito di mettere in piedi una struttura militare segreta onde permettere al suo partito di continuare a esercitare il potere nel deprecabile caso di una sconfitta alle elezioni.  E che quando, all’inizio degli anni ’80, per la carica che rivestiva, avrebbe dovuto più di ogni altro preoccuparsi del corretto funzionamento del sistema istituzionale, non ha esitato a impugnare il piccone, a costo di fare a pezzi quel poco che restava della dialettica democratica, pur di restare alla Presidenza della Repubblica anche se, per un motivo o per l’altro, non ce lo voleva più nessuno.  I  tipi come lui, quando non dispongono della maggioranza necessaria per governare, si mettono sempre a cercare un modo per governare senza maggioranza, il che alla democrazia proprio bene non fa.  
Ovviamente, per simili personaggi la democrazia conta ben poco.  Il guaio è che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, per cui la loro capacità di corrompere il sistema in cui operano non va mai sottovalutata.  Chi, come l’attuale (e futuro) Presidente del Consiglio su simili personaggi ha fatto gran conto, si è assunto la non piccola responsabilità di averne permesso la sopravvivenza e ha dimostrato, in sostanza, di condividerne il malcelato disprezzo per le regole del gioco democratico e per la volontà degli elettori.  L’essere andati al governo con la benedizione del picconatore è un’onta che nessun bagno nell’ulivismo potrà cancellare.
È per questo, in definitiva, che non riesco a credere che Cossiga se ne sia andato davvero.  Vedrete che, anche se non si degnerà di votare la fiducia al D’Alema bis, anche se fingerà di ritirarsi nello splendido isolamento in cui ogni volta che gli va male qualcosa affetta di volersi ritirare, resterà comunque in zona governo, nel senso che il governo cercherà sempre di non interrompere il dialogo con lui e con i suoi fidi.  Il che significa che, stringi stringi, il quadro politico resterà lo stesso.   Un quadro politico in cui bisognerà continuare a preoccuparsi delle decisioni dell’Udeur di Mastella e di quelle del Trifoglio, quando tutti sanno che in una democrazia seria gruppi di transfughi e di riciclati come quelli che costituiscono l’Udeur e il Trifoglio non dovrebbero esistere nemmeno per burla e in cui le speranze del popolo di sinistra dovranno forzosamente appuntarsi, strano ma vero, sull’esito dello scontro in atto tra la fazione dipietrista e quella parisiana  dell’Asinello.   Che poi il popolo di sinistra cominci a dimostrare per tutta la faccenda uno spiccato disinteresse non è cosa che dovrebbe meravigliare nessuno.
Il governo, comunque, è in buone mani.  Ho letto sulla “Repubblica” di ieri che l’onorevole Luciana Sbarbati, dei repubblicani dell’Ulivo (che sono, notoriamente, tutt’altra cosa dei repubblicani del Trifoglio), pur avendo avuto la disgrazia di essere investita da un’automobile sulle strisce pedonali, riportando la frattura della spalla, dell’osso sacro e del perone, ha dichiarato che, qualsiasi cosa possano obiettare i suoi medici, lei a votare la fiducia a D’Alema ci sarà, a costo di farsi portare in aula in barella.   Alla battagliera rappresentante del popolo la “Caccia” invia rispettosamente gli auguri di una pronta e completa guarigione.

19.12.’99